Se dovrai attraversare il deserto, non temere, Io sarò con te.
Se dovrai camminare nel fuoco, la sua fiamma non ti brucerà.
Seguirai la mia luce nella notte, sentirai la mia forza nel cammino,

io sono il tuo Dio, Signore.
Sono io che ti ho fatto e plasmato, ti ho chiamato per nome.
Io da sempre ti ho conosciuto e ti ho dato il mio amore.
Perché tu sei prezioso ai miei occhi, vali più del più grande dei tesori,

Io sarò con te dovunque andrai.

S. Antonio di Padova

Sant'Antonio è il santo più noto e amato nel mondo. Milioni di pellegrini e devoti, da tutto il mondo, visitano ogni anno la sua Basilica a Padova. Non vi è chiesa al mondo che non abbia un altare, un dipinto, una statua, un affresco, una nicchia dedicati a sant'Antonio. Per non parlare poi delle piccole statue e dei santini presenti nelle abitazioni. 

 Ho trovato questa biografia di Sant’Antonio è stata scritta da P. Pietro Rossi francescano, mi è sembrata esaustiva e voglio riproporvela per illustrarvi la vita del Santo.
PRESENTAZIONE
Carissimo,
questo libretto è stato scritto per te, giovane o adulto che tu sia. Forse è la prima volta che leggi qualche pagina su S. Antonio. Sarà per te una scoperta. Ti viene offerta l’occasione di conoscere il Santo di Padova: sarà l’ami­co sincero che da tempo, forse inconsciamente, deside­ravi conoscere. Sappi che la devozione a S. Antonio è diffusa non solo tra i cattolici, ma è viva anche tra i non cristiani, perfino tra i musulmani, che sono i più restii verso le altre religioni. Non di rado mi capita di vedere entrare nella mia chiesa qualche musulmano, dirigersi alla statua di S. Antonio e prostrarsi in preghiera. C’è stato chi è ri­tornato dopo qualche giorno, per informarmi di avere ricevuto la grazia richiesta. Fratello, ho cercato di proporti la vita del Santo con semplicità di linguaggio attenendomi fedelmente alle fonti sicure della storia e della tradizione, perché la sua figura risaltasse viva e palpitante. Mi auguro che queste pagine ti aiutino a scoprire l’ideale e l’anima del «tuo» Santo. Se riuscirò a rag­giungere in qualche modo questo scopo, mi sentirò suf­ficientemente ripagato della modesta fatica compiuta.
Sant’Antonio visse 36 anni, dal 18 agosto 1195 al 13 giugno 1231, ed è considerato da tutti un fenomeno unico al mondo per imponenza, universalità e perennità. Gregorio IX lo ha proclamato: «Arca del­l’Antico Testamento» e «Scrigno delle Sacre Scritture». Leone XIII lo ha definito: «Il Santo di tutto il mondo». La tradizione popolare lo ha sempre chiamato: «Martel­lo degli eretici» e «Santo dei miracoli».
Nobiltà delle origini - Nacque a Lisbona, da famiglia appartenente all’aristocrazia militare e terriera. Il padre, Martino di Buglione, si diceva apparentato con l’eroe della prima crociata, Guglielmo di Buglione, il liberatore del santo Sepolcro; la madre, Teresa Taveira, era pure di nobile casato. Al battesimo gli fu imposto il nome di Fernando, nome allora molto diffuso in Portogallo, in particolare tra le classi socialmente più elevate.
Vicino al Signore Il demonio lo insidia - Il demonio non poteva tollerare la pietà e il candore innocente del piccolo Fer­nando; per questo cercava in ogni modo di disturbarlo. Un giorno il fanciullo dopo avere servito la messa, si era intrattenuto in chiesa tutto solo, davanti all’altare della Madonna, per un ultimo saluto. All’improvviso si sentì come avvolto da una nuvola nera e una voce roca gli sussurrava parole oscene: capì che era la voce del de­monio. Ricordò subito le parole della mamma: «Nei momenti di pericolo, invoca la Madonna e fa il segno della cro­ce!». Senza esitare, tracciò col dito un segno di croce sul gradino di marmo, sul quale era inginocchiato e il demonio, confuso, fuggi.
Una decisione eroica - Giunto all’età di sedici anni, Fernando decise di consacrarsi a Dio.
Un mattino, senza manifestare ad alcu­no la sua decisione, si incamminò verso il monastero dei canonici regolari di S. Agostino, alle porte di Lisbona e chiese di esservi accolto. L’abate, che già conosceva le virtù del giovane, lo accol­se paternamente e lo rivestì subito, dell’abito dei cano­nici regolari.
La reazione dei parenti - La notizia della scelta di Fernando destò grandi meraviglie: i buoni approvarono ammirati; i mondani considerarono la sua decisione una pazzia. I parenti delusi, si recarono al monastero per convin­cerlo a desistere e a ritornare sui suoi passi. Ma tutto fu inutile. Fernando fu irremovibile; anzi per liberarsi da ogni pressione, pregò il suo abate di trasferirlo in un mona­stero lontano da Lisbona. L’abate l’accontentò e lo trasferì a Coimbra, nel mona­stero di Santa Croce.
Notizia inaspettata - Nel febbraio 1220, in tutto il Portogallo, si era diffusa la notizia dell’uccisione in Marocco, di cinque frati francescani. Erano morti per la fede: arrestati dai musulmani men­tre predicavano il Vangelo, dopo inauditi tormenti, era­no stati barbaramente uccisi. La notizia impres­sionò profondamente Fernando. Le spoglie dei martiri, sottratte alla profanazione mu­sulmana, furono trasportate in Portogallo e sepolte pro­prio nella chiesa del monastero di Santa Croce in Coimbra.
Crisi profonda - Fernando passava ore e ore, di giorno e di notte, inginocchiato presso le tombe dei cinque martiri. Mentre pregava, strano a dirsi, invece di pace interiore provava nel cuore un profondo turbamento: invidiava la loro sorte. Si sentiva spinto interiormente a vivere una vita più au­stera, a servire Cristo Gesù in povertà e letizia e magari, conquistare la palma del martirio come loro. Fernando ormai era in crisi: una crisi di identità, si di­rebbe oggi.
L’ideale francescano lo affascina - Un giorno bussarono alla porta del mo­nastero due frati francescani per chiede­re un pezzo di pane per amore di Dio, non avendo di che cibarsi. Erano vestiti poveramente, con i fianchi cinti da una ruvida corda e i piedi scalzi. Erano semplici, privi di istruzione, eppure nel loro sguardo e nelle loro parole era riflessa la luce della fede e tanto calore di carità da impressionare e commuovere. I loro volti da asceti, sembravano estranei a tutte le cose del mondo. Fernan­do li ascoltò con amore e ne fu conquistato.
Decide di farsi frate - Si informò della loro Regola e degli sco­pi del loro Ordine. Appena seppe che il frate Fondatore S. Francesco, desiderava che i suoi frati andassero missionari in Africa, decise di abbracciare il loro ideale. Andò dal suo priore e lo supplicò di concedergli il bene­placito. Il priore, con profondo rammarico, glielo con­cesse.
Fernando diventa Antonio - Quando Fernando varcò la soglia del convento francescano per abbracciare la nuova vita, i frati non potevano credere a quanto stava avvenendo: un ricco ago­stiniano abbandonava lo splendore del suo monastero per abitare in una misera capanna. Lasciava la compa­gnia dotta e signorile dei suo confratelli, per unirsi a dei frati poveri, rozzi e malvestiti… Eppure era realtà! Fernando depose la veste bianca degli agostiniani per vestire la povera tonaca francescana e cambiò il suo no­me in quello di Antonio. Sete di martirio - Antonio abbracciando l’Ordine Francescano, aveva posto come condizione di potere affrontare il martirio, andando tra gli infedeli a portare il lieto annuncio sulle orme dei cinque confratelli protomartiri. Il consenso dei superiori non poteva mancare; gli venne concesso dal Ministro della Provincia francescana di S. Giacomo. Fu per Antonio motivo di grande gioia: poteva final­mente realizzare il suo più grande sogno.
Parte missionario in Africa – I confratelli appena seppero che Antonio partiva missionario in Africa, provarono un grande dolore e nello stesso tempo, una santa invidia per non poterlo affian­care nella sua missione. Uno solo ebbe la fortuna di accom­pagnarlo: fra Filippino di Montalcino di Toscana. Prima di partire Antonio abbracciò i confratelli, uno ad uno; poi si accomiatò da loro chiedendo la carità della preghiera.
Amara delusione - Il viaggio fu lungo e faticoso. Antonio era sostenuto dall’ansia di arrivare pre­sto: laggiù avrebbe potuto predicare il Vangelo ai seguaci di Maometto e, chissà, concludere la vita col martirio. Ma l’attendeva un’amara delusione. Quando toccò la terra d’Africa, si sentì debole e sfinito; pensava che un po’ di riposo sarebbe stato sufficiente per riprendersi, ma, poco dopo, fu colpito da febbre malarica. Così, invece di predicare il Vangelo, fu costretto a stare per lunghi giorni su di un povero giaciglio, al buio, a battere i denti. Era il fallimento del suo sogno generoso di apostolato e di martirio.
I disegni della provvidenza - Ora ad Antonio non restava che una via: arrendersi alla volontà di Dio e ritornare in patria. Ad un carattere ardente come il suo, questo costava molto… ma non si ribellò. Nella primavera del 1221, riprese la via del ritorno. Ma Dio era ancora sulla sua strada. Difatti, invece di appro­dare in Portogallo, una violenta tempesta costrinse la nave a dirottare sulle coste della Sicilia.
Verso Assisi - In Sicilia rimase poche settimane. Poi riprese il cammino verso Assisi, per par­tecipare al Capitolo generale dell’Ordine. Ad Assisi trovò un esercito di «cavalieri di Cristo» ac­campati attorno alla chiesetta di Santa Maria degli An­geli, divisi a gruppi, «dove quaranta, dove cento, dove dugento, dove trecento insieme; tutti occupati solamente a ragionare di Dio». Antonio potè «immergersi», in questa moltitudine di fratelli e con essi pregare e lodare il Signore.
Incontra S. Francesco - Fu in questo capitolo che egli incontrò S. Francesco; fu per lui un’esperienza meravigliosa. Non si erano mai visti, ma avevano una storia tanto simile: entrambi erano stati giovani e ricchi, avevano sognato imprese militari e, al­la fine, avevano abbandonato tutto per abbracciare una vita di povertà. Che cosa si dissero in quell’incontro gli storici non ce l’hanno tramandato. È certo, che Antonio rimase viva­mente impressionato nel vedere e ascoltare il Poverello d’Assisi.
Dimenticato da tutti - Alla fine del Capitolo ad ogni frate venne assegnato un ufficio da svolgere e un convento dove abitare. Antonio era entrato da poco nell’Ordine ed era scono­sciuto, perciò nessuno si accorse di lui. Se ne stava ap­partato e silenzioso quando, il P. Provinciale della Ro­magna, frate Graziano, l’avvicinò e leggendogli nel cuo­re, gli chiese: Da dove vieni? - Dal Portogallo, rispose Antonio. Sei sacerdote? - Sì!. A quale convento sei destinato? - Per ora a nessuno. Vuoi venire con me in Romagna? A Montepaolo c’è un eremo, con un gruppetto di fratelli religiosi. Potrai de­dicarti alla vita eremitica e celebrare per loro la messa. Sono certo che ti troverai bene! Frate Antonio accettò.
Montepaolo lo attende - L’eremo di Montepaolo si trova su di una collina, a oltre 400 m. di altezza, a una quindicina di Km. da Castrocaro Terme. È circondato da una selva di faggi, elci e querce. Allora, era abitato da sei frati laici che vivevano nel si­lenzio e nella preghiera. Nel cuore della foresta, vi era­no grotte e tuguri sparsi un po’ ovunque, ove i frati si ritiravano per ritemprare lo spirito, nell’intima unione con Dio. Insomma: Montepaolo era uno di quegli eremi, tanto cari a S. Francesco, per i quali aveva scritto anche una Regola.
Immerso nel silenzio - Lassù, frate Antonio, divenuto eremita per volontà dei suoi superiori, si sentiva veramente felice. Il mattino celebrava la santa Messa per i suoi confratel­li, poi li aiutava negli umili servizi di casa. I confratelli avrebbero voluto che egli non scopasse e non lavasse le scodelle: - Tu sei sacerdote, gli dicevano, i lavori più umili lascia­li fare a noi! Ma, Antonio desiderava rendersi utile.
Una splendida grotta - Un giorno, i confratelli lo videro ritornare dalla selva con gli occhi pieni di gioia. - Che ti succede?, gli chiesero stupiti. - Ho trovato, nella selva, una splendida grotta. Oh se fosse tutta mia! Sapeste, come vi si prega bene! - Ti piace davvero, Antonio? Te la cediamo volontieri! - Grazie, fratelli!. Ogni giorno Antonio si rifugiava nella «sua» grotta, con un pezzo di pane e una brocca d’acqua; poi si immerge­va nel silenzio, rotto solo dal fruscio delle foglie e dal canto degli uccelli. Qui passava ore di paradiso.
Gesù lo accarezza - Nella grotta si verificò un fatto straordinario. Mentre il Santo era assorto in preghiera, gli apparve Gesù, sotto forma di Bambino. Narrano i biografi che «la grotta si riempì di luce e il Bambinello si posò dolcemente sulle sue braccia… Egli lo accarezzava, lo baciava e non cessava mai di contem­plare il suo volto».
Ore di paradiso - La cara solitudine permetteva ad Anto­nio di «dialogare» con Dio: suo unico bene. Egli aveva Dio nel cuore e nella mente. Lo intravvedeva nel verde dei boschi, lo contemplava nelle aurore e nei tramonti… Gli sembrava di essere già in paradiso. Solo gli angeli potrebbero raccontare i misteri, i sospi­ri, le lacrime, le fervide preghiere, le estasi deliziose e nello stesso tempo i digiuni e le astinenze, di cui fu tea­tro la piccola grotta.
Scende a Forlì - Un mattino il frate più anziano avvicinò Antonio e lo invitò a prepararsi per scendere a Forlì. - Il Padre Provinciale desidera che tutti noi ci rechiamo a Forlì, dove alcuni nostri confratelli e frati domenicani riceveranno l’ordinanza sacerdotale. - Vengo molto volentieri! È bello sentire parlare di Dio e della Madonna da padri così sapienti. Ma, a Forlì, l’attendeva una sorpresa. Il padre che avrebbe dovuto tenere il discorso ufficiale in duomo, si era ammalato così il Padre Provinciale aveva chiesto al superiore dei Domenicani e ad altri frati di sostituirlo. Tutti avevano declinato l’invito dicendosi impreparati. Alla fine, pensò di rivolgersi ad Antonio, che sorpreso, gli disse convinto: - Ma io non so parlare! - È un ordine fratello! rispose il Padre Provinciale. Dopo pochi minuti, frate Antonio era sul pulpito.
La grande rivelazione - Senza esitare, Antonio prese la parola introducendosi con passi biblici, ben ap­propriati. Le parole fluivano dalla sua bocca come note d’oro; le idee erano chiare come il sole. In breve, il suo volto si illuminò di una luce celestiale. Tutti lo ascoltavano «con vivo godimento spirituale». I suoi confratelli, affascinati, trattenevano il respiro. Al termine della predica, tutti si strinsero attorno a lui, ammirati. Era particolarmente felice il Padre Provincia­le che, commosso, lo chiamò a sé e subito, gli affidò l’ufficio della predicazione: - Andrai a Rimini, dove avrai molto da faticare, perché in quella città molti si sono allontanati da Dio!
Addio, monte santo - Antonio non poteva opporsi al volere dei suoi superiori: era figlio dell’obbedienza. Ritornò a Montepaolo, dove raccolse le «sue» poche cose; poi si accomiatò dai confratelli: li ab­bracciò teneramente, uno ad uno, chiedendo loro l’aiu­to della preghiera. Quindi, allargò le braccia e salutò il suo eremo: «Addio monte santo! Addio terra benedetta, amata da Dio e da­gli uomini. Io parto col corpo, ma non col cuore! Il Si­gnore ti benedica e ti protegga!». Poi, si pose in cammino, seguito dallo sguardo com­mosso dei fratelli.
In mezzo alla bufera - A Rimini, Antonio incontrò la più dura opposizione da parte degli eretici. Tra di essi i più numerosi e ostinati erano i ca­tari, che travisavano la Sacra Scrittura e ritenendosi i depositari della perfezione cristiana, andavano di casa in casa a diffondere gli errori più grossolani. Pensiamo a qualcosa di analogo agli odierni Testimoni di Geova. Quando Antonio predicava nelle chiese o si avventurava a parlare sulle piazze, essi levavano urla e facevano schiamazzi. Un giorno il Santo con voce tonante, gridò loro: - Non volete ascoltarmi? Ebbene andrò a parlare ai pe­sci del vostro mare! Scese dal pulpito e seguito da pochi fedeli e da un grup­po di curiosi, si diresse verso la spiaggia.
Predica ai pesci - Giunto in riva al mare, Antonio salì su di uno scoglio; si raccolse in preghiera i pesci del mare. alcuni istanti, poi chiamò a gran vo­ce. Deliziamoci, ora, ascoltando il racconto dal libro dei «Fioretti»: “…subitamente venne alla riva tanta molti­tudine di pesci grandi, piccoli e mezzani, che mai in quel mare né in quel fiume ne fu veduta altra moltitu­dine; e tutti teneano i capi fuori dell’acqua, e tutti sta­vano attenti con mansuetudine e ordine. Allora Antonio vedendo tanta reverenza inverso di Dio, rallegrandosi in ispirito, in alta voce disse: Fratelli miei pesci, molto sie­te tenuti di ringraziare il Creatore che v’ha dato così nobile elemento chiaro e trasparente e cibo per lo quale voi possiate vivere… A queste e somiglianti parole, li pe­sci cominciarono aprire la bocca e inchinarono li capi, e con questi e altri segnali di reverenza, lodarono Iddio”. Alla fine, Antonio sollevò la mano benedicente e si con­gedò dai pesci: «Fratellini miei, andate in pace, nel no­me del Signore!». I pesci si tuffarono in mare, sollevan­do spruzzi di schiuma; poi, nuotando allegramente, scomparvero in mezzo ai flutti.
La mula di Bonvillo - I fedeli, che avevano assistito al miraco­lo dei pesci, ritornati in città, racconta­rono agli amici ciò che avevano visto. Un eretico irremovibile di nome Bonvillo, al racconto scuoteva la testa incredulo e diceva: - La vostra è stata un’illusione collettiva: le onde del mare vi sono sembrate dei pesci. Volete proprio che mi converta? Sappiate che soltanto un miracolo potrebbe farmi cambiare idea!». La cosa fu riferita al Santo, il quale avvicinò Bonvillo e gli fece una proposta: - Se la tua mula adorasse il sacramento dell’Eucaristia, tu ti convertiresti? Bonvillo fece una risata e poi disse: - Ma certo! Se proprio ci tieni a convertirmi, terrò la mula digiuna per tre giorni e poi vedremo se riuscirai a convincerla! Antonio accettò il patto. Dopo tre giorni, Bonvillo con­dusse la mula affamata sul sagrato della chiesa, dov’era radunata una gran folla. - Ci sarà da ridere almeno per un anno - pensava Bon­villo tra sé - Così ci leveremo dai piedi, una volta per sempre, questo frate! La porta della chiesa si aprì e apparve il Santo che reg­geva l’Ostia consacrata. Sul sagrato nessuno fiatava. Bonvillo porse della biada alla mula e la incitò a man­giare. Ma la povera bestia, pur essendo affamata e asse­tata, guardava l’Ostia… finché, lentamente piegò le gi­nocchia in segno di adorazione. La folla gridò al mira­colo. Bonvillo sconvolto, si prostrò davanti ad Antonio e lo supplicò di perdonarlo.
C’è chi tenta di ucciderlo - La reazione da parte dei capi degli ereti­ci non poteva mancare: decisero di ucciderlo. Per sopprimerlo escogitarono l’uso della frode e del veleno. Si finsero pentiti e invitarono Anto­nio a pranzo. Il Santo accettò, ma appena fu a tavola si accorse del tranello: tracciò un segno di croce sul cibo e incominciò a mangiare tranquillamente. Quando gli eretici si accorsero che il veleno era stato reso innocuo e che Antonio non provava alcun distur­bo, si spaventarono: si buttarono ai suoi piedi e sincera­mente pentiti gli chiesero perdono.
Il giubilo di Francesco - La fama di Antonio come predicatore e taumaturgo, in breve tempo varcò i con­fini di Emilia e Romagna e raggiunse anche Assisi, dove si trovava Francesco, ormai grave­mente ammalato. I frati gli avevano parlato di Antonio, della sua predica ai pesci, della sfida a Bonvillo e di altri episodi. - Sai, gli dissero, lo chiamano «martello degli eretici», perché nessuno resiste alla forza delle sue argomenta­zioni. E poi conosce a memoria le Sacre Scritture. Qua­le fortuna sarebbe per noi poterlo avere quale maestro! - Oh! Frate Antonio lo conosco!, esclamò il Poverello, lo ricordo bene. Lo vidi ad Assisi alcuni anni fa. Sia lodato Dio! Finalmente, anche noi frati minori abbiamo un ve­scovo!.
Una «laurea» per Antonio - Senza esitare, Francesco prese una pergamena e il necessario per scrivere e dettò il suo messaggio: “A frate Antonio, mio vescovo, Frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teolo­gia ai frati, purché questo studio non spenga in essi lo spirito di orazione e devozione, come è scritto nella Re­gola. Sta bene!”. Poi disegnò, di proprio pugno, una croce in calce alla pergamena. E aggiunse a viva voce: «Lodiamo l’Altissi­mo per questo nostro fratello, che annunzia ai fedeli i vizi e le virtù per la loro santificazione. Egli deve essere esaltato perché molto si è umiliato. Io lo tengo in conto di un vescovo perché è saggio e prudente, come deve essere ogni pastore di anime».
Nella dotta Bologna - Antonio prese la lettera di frate France­sco come un ordine: lasciò subito Rimi­ni e si trasferì a Bologna. Adora, la celebre università di Bologna, non possedeva una cattedra di teologia; per questo egli dovette inse­gnare nel convento dei francescani. Com’era da prevedersi, la fama del maestro attirò un grande numero di studenti: non solo erano frati, ma anche chierici e secolari; di essi, non pochi divennero illustri per dottrina e santità.
Un nuovo incarico - L’insegnamento di Antonio a Bologna durò un anno intero, fino al giorno in cui Francesco lo invitò ad Assisi; voleva affidargli l’incarico di andare in Francia per ricondurre gli albigesi alla verità evangelica. Il Poverello considerava la Francia sua seconda patria e sentiva una ferita al cuore per la presenza degli eretici in quella terra, da lui tanto amata. Per estirpare l’eresia albigese occorrevano uomini san­ti, colti e con un fascino tutto particolare sulla folla. Nessuno, possedeva queste doti, più di Antonio.
Nella dolce terra di Francia - Antonio accettò il nuovo incarico con spirito di vera obbedienza. E, un matti­no, di quel rigido inverno del 1224, in­sieme a tre confratelli, lasciò la dotta Bologna e si diresse, a piedi, verso la «dolce terra di Francia». Compì il viaggio a tappe forzate. Quando arrivava in paesi o città, dove si trovavano conventi del suo Ordine, trovava cordiale ospitalità, altrimenti era costretto a mendicare un tozzo di pane o un giaciglio. La sua prima meta fu la città di Montpellier, dove fu ac­colto dai confratelli con grande gioia.
Di nuovo in mezzo alla bufera - Iniziò il suo apostolato andando di città in città, di paese in paese e di casa in ca­sa. I cronisti contemporanei segnalano la sua presenza a Montpellier, Narbonne, Carcassonne, Tolosa, Limoges e in tutta la Provenza. Parlava al popolo nelle chiese e sulle piazze, seguendo il metodo che aveva usato in Romagna: affrontare gli ere­tici direttamente, a viso aperto, confutando i loro erro­ri, smascherandone la falsità, la volgarità e l’astuzia. Li paragonava a «volpi astute». Molti cristiani segui­vano il suo insegnamento, e la loro fede «tornava ad es­sere la regina delle menti e dei cuori».
Il demonio si scatena - La reazione del demonio era da preve­dersi: non poteva rassegnarsi alla perdita di tante anime. Per questo cercava in tutti i modi di disturbarlo. Per distoglierlo dalla predi­cazione fece ricorso anche alla violenza. Ma il Santo non temeva. Egli confidava nel Signore, che lo aiutava e confermava il suo apostolato con una quantità di miracoli.
La Madonna accorre in suo aiuto - La grande protettrice di Antonio era la Madonna. Più volte lo difese dagli assalti del demonio. Un giorno, il demonio fece crollare il palco dove stava predicando, ma il Santo non si scom­pose. Rasserenò i fedeli con queste parole: «State tran­quilli! È il demonio che vorrebbe impedirmi di parlare, ma non riuscirà. La Madonna ci protegge. Egli è come un cane legato alla catena». Un altro giorno, mentre il Santo pregava, gli apparve il demonio sotto sembianze umane; lo afferrò per la gola, deciso a strangolarlo. Egli reagì e invocò il nome di Ma­ria. All’udire questo nome, satana, pieno di rabbia, fuggì. Antonio ricambiava le premure della Madonna, con una profonda devozione.
Notizia che lo addolora - Mentre Antonio si trovava in piena atti­vità, gli giunse la lettera di frate Elia, vi­cario generale dell’Ordine, con la triste notizia della morte del Poverello d’Assisi. Ecco le testuali parole: “Piangete con me, fratelli, perché siamo divenuti orfa­ni. Colui che ci portava tra le braccia come agnelli ci è sta­to tolto. È per tutti una perdita incolmabile. Abbiamo perduto il nostro Padre. Piangete con me fratelli, perché il pianto mi opprime. Piangete con me!». Possiamo immaginare con quanta commozione frate Antonio abbia letto e riletto questa lettera.
Ritorna in Italia - Insieme alla lettera, giunse per Antonio anche «l’intimazione» di trovarsi ad As­sisi per eleggere il successore di S. Fran­cesco. Era l’obbedienza che ancora una volta lo chiama­va: doveva lasciare la sua «dolce terra di Francia» per ritornare in Italia. Il distacco da questa terra, fu per lui doloroso. Lasciò Limoges, accompagnato per un lungo tratto dai frati e dal popolo, in lacrime. Raggiunse Assisi nella pri­mavera del 1227, pochi giorni prima della Pentecoste.
Eletto ministro provinciale di Emilia e Romagna - Il capitolo di Pentecoste di quell’anno, fu dominato dalla tristezza: tutti senti­vano la mancanza del Padre. Per l’elezione del successore, i ministri provinciali e i custodi si accordarono sul nome di fra Giovanni Parenti, un uomo di legge, che godeva fama di grande virtù e santità. Nello stesso capitolo generale, furono distribuiti gli in­carichi ai presenti. Antonio fu eletto ministro provinciale di Emilia e Roma­gna. Egli accettò ancora una volta il gravoso incarico, senza protestare, sicuro di fare la volontà di Dio.
Ancora a Bologna - La sede provincializia dell’Italia setten­trionale, allora, era a Bologna. Antonio la raggiunse e ne prese possesso. Poco dopo iniziò la visita ai singoli conventi per prendere contatto con i confratelli. Raggiunse l’eremo di Montepaolo, dove ritrovò i vecchi «amici» e si ritirò nella «sua» grotta in preghiera. Poi scese a Forlì, si recò a Rimini, a Ravenna, da dove, via mare raggiunse la Dalmazia e l’Istria, finché giunse a Padova.
La città del suo cuore - Padova, allora, era una città bella e ric­ca; vi fiorivano le industrie della lana e vi si tenevano mercati a livello regionale. Vantava anche una università, tra le più celebri d’Europa, dove accorrevano studenti di varie nazioni. Antonio vi giunse all’inizio del 1228 e pose la sua dimo­ra presso il convento di Santa Maria Mater Domini.
Suscita subito entusiasmo - I padovani accolsero Antonio con grande gioia e venerazione. Tutti desideravano avvicinarlo e ascoltarlo. La fama della sua santità l’aveva preceduto. In breve tempo le chiese di Padova si rivelarono insuffi­cienti ad accogliere le migliaia di fedeli, che accorreva­no anche dalle città vicine, per ascoltarlo. Spesso non bastavano nemmeno le piazze e si doveva ricorrere ai prati, in aperta campagna.
Trasporta la sede a Padova - Com’era da prevedersi, in breve tempo, Padova divenne per Antonio «la sua città». I padovani lo stimavano e lo ama­vano. La sua parola semplice e ardente, aveva conquistato i loro cuori; alcuni decisero di se­guirlo abbracciando l’ideale francescano. Antonio li ricambiava con pari affetto: si sentiva uno di loro; per questo, col consenso dei superiori, decise di trasportare la sede provincializia da Bologna a Padova.
Dalla parte dei poveri - Ai tempi di Antonio, a Padova, i poveri erano tanti. I ricchi, invece, erano pochi e dominavano su ogni attività economi­ca. I poveri erano indifesi e senza alcun potere; quando non riuscivano a saldare i debiti contratti, venivano condannati al carcere e così, nelle famiglie povere, alla miseria si accumulava altra miseria. Antonio, manco a dirlo, si schierò dalla parte dei pove­ri!.
Tuona contro gli usurai - L’usura era la forma di sfruttamento più comune di allora. Veniva esercitata da uomini senza scrupoli, che Antonio chiamava «bestie feroci che rapinano e divorano». Il Santo divideva gli usurai in tre categorie: «I nascosti, che in numero infinito strisciano all’ombra come bi­sce; i pubblici, che simulando una simulata modera­zione, vogliono sembrare misericordiosi; gli sfacciati, perfidi e rotti al vizio, che alla luce del sole, in piazza, praticano l’usura come professione: questi il diavolo se li prenda per l’eterna dannazione».
I suoi amici più cari - Anche Antonio, come Gesù, ebbe i suoi prediletti: erano i bambini. Quando pas­sava per le vie di Padova, essi sospende­vano i loro giochi e gli correvano attorno per fare festa. Egli si fermava e si intratteneva con loro. Spesso li ac­coglieva amabilmente in convento, senza dar mai segni di impazienza. Erano le mamme e i papà a portarli, per­ché li istruisse e li benedicesse.
Affronta il tiranno Ezzelino - A Padova e città vicine, regnava Ezzelino da Romano, uomo crudele, nemico di Dio e degli uomini. Antonio decise di affrontarlo. Prese con sé l’amico fra Luca Belludi e andò a Verona dove il ti­ranno risiedeva. Quando Ezzelino sentì che un figlio di S. Francesco vo­leva parlargli, rimase turbato, ma alla fine l’accolse. Antonio, insieme all’amico fra Luca, entrò da lui e ani­mato da santa ira, gridò: - Crudele tiranno, nemico di Dio, fino a quando conti­nuerai a spargere sangue innocente? Sappi che la giu­stizia di Dio ti raggiungerà presto. Cambia vita o sarai dannato in eterno! Nessuno avrebbe mai osato parlare al tiranno con que­ste parole. Ezzelino ascoltò senza reagire. Abbagliato da una luce, ch si sprigionava dal volto del Santo, chinò la fronte impaurito e restò in silenzio. Quando risollevò il capo, Antonio e il suo amico fra Lu­ca, già si erano allontanati.
Si ammala di idropisia - Forse soltanto pochi sanno che, Antonio pur essendo giovane, negli ultimi anni della sua vita, si ammalò gravemente di idropisia. Per questo, fu costretto a ridurre la sua attività e a re­stare per lunghi periodi in convento. Per non addolorare i confratelli, per più mesi aveva te­nuta nascosta la sua malattia.
Si dedica al confessionale - In convento, Antonio accoglieva i peni­tenti e si dedicava all’apostolato del con­fessionale. Diceva: «Il predicatore semi­na la parola dal pulpito e raccoglie i frutti nel confessio­nale». Quando confessava - attesta il suo primo biografo - perdeva la nozione del tempo. C’erano giorni ch’egli confessava senza interruzione fino al tramonto, non prendendo cibo, né boccata d’aria, benché fosse in con­dizioni pietose di salute. Il Santo, in seguito, scriverà in un suo sermone: «Che farsene di una marea di uditori, se poi il confessionale resta deserto? Sarebbe come andare a caccia, e tornar­sene col carniere vuoto».
Scrive le sue prediche - La presenza «forzata» di Antonio in con­vento, mosse i confratelli ad approffit­tarne per chiedergli «la carità di un sus­sidio con tante prediche adatte alle varie domeniche del­l’anno». Il Santo accettò volentieri e scrisse i «Sermo­nes Dominicales», un’opera di quasi mille pagine, che fanno di lui il primo grande scrittore dell’Ordine. Presentandola ai confratelli disse: «Cercate di non esse­re noiosi nel parlare, altrimenti la gente sta lontano dalla chiesa. Ma soprattutto date un grande esempio di vita cristiana».
Sente bisogno di riposo - Antonio sapeva che il Signore l’avrebbe chiamato presto a sé, per questo, dimen­tico delle sue sofferenze, non rispar­miava energie nelle opere di bene. Ma, un giorno, espresse il desiderio di trascorrere un periodo di assoluto riposo. L’idropisia lo aveva prostrato fisicamente: la sua persona ormai appariva stanca e ap­pesantita. I confratelli lo portarono nel convento più vicino, a Camposampiero: un eremo distante una ventina di Km da Padova. La solitudine e il silenzio del luogo, gli diedero subito un certo sollievo.
La specula sul noce - Un giorno, mentre si trovava nel bosco, il Santo scoprì un noce dal cui tronco partivano sei branche che si protendeva­no verso l’alto. Pensò che lassù, sopra quell’albero, avrebbe potuto più facilmente raccogliersi in meditazione. Perciò, pregò i suoi frati di costruire su quel noce una celletta di stuoie. Fu accontentato. Così, potè salirvi e immergersi in un mare di quiete. Nella «Legenda Raymundina» si legge: «Là, su quella pianta, l’uomo di Dio viveva seco stesso tutto intento a sante meditazioni e a fervorose preghiere per purificare interamente l’anima sua da ogni polvere mondana».
Come in cattedra - La notizia della presenza di Antonio a Camposampiero, si diffuse rapidamente in tutto il circondario. Gruppi di amici e devoti, eludendo la sorveglianza dei frati e dei contadini del conte Tiso, di giorno e di notte, riuscivano a rag­giungere il Santo. Egli li accoglieva sorridente, senza dare segni di impa­zienza e dall’alto del noce, rivolgeva loro parole di esor­tazione: - Grazie, fratelli, di essere venuti a farmi visita. Ricorda­te che la vita terrena è simile ad un ponte, che è fatto per il transito, non per fermarvisi. Anch’io, ormai, sono alla fine, in attesa del mio Signore. Ritornate a casa, con la mia benedizione!
Ha il presentimento della fine - Sul noce, Antonio passò alcuni mesi. Lassù gli pareva di respirare meglio. Ma quale fatica per salirvi! I confratelli premurosi gli prestavano aiuto, ma constatavano il rapido affievolirsi delle forze e la difficoltà sempre maggiore del respiro; nel loro affet­to si lusingavano che il male potesse essere superato col riposo e col tempo. Ma il Santo aveva il presentimento sicuro della fine prossima. Questo pensiero infondeva in lui un gaudio dello spirito che traspariva dalle sue parole e illudeva la speranza dei confratelli.
Si ammala gravemente - Nelle prime ore del 13 giugno, lo stato di salute di Antonio improvvisamente si aggravò. Prevedendo che la fine era imminente, chiese ai confratelli di essere portato a Pa­dova, dove desiderava morire, presso la chiesa di Santa Maria Mater Domini. I confratelli lo accontentarono. Erano le ore 12 dello stesso giorno quando i confratelli lo adagiarono su di un carro, trainato da buoi, offerto dalle carità di buoni contadini. Il Santo, prima di partire, ringraziò e benedisse i pre­senti, che pregavano e piangevano.
Verso sorella morte - Il carro si mosse lentamente, accompa­gnato da frate Luca, da frate Ruggero e da alcuni contadini. Il caldo era opprimente, la strada sconnessa e il carro sobbalzava ad ogni buca. Frate Luca, ogni tanto, ferma­va il corteo per consentire all’infermo un po’ di ristoro. Dopo cinque ore di viaggio, in prossimità di Padova, il Santo entrò in agonia. Ritennero opportuno fermarsi all’Arcella, nel ritiro dei frati, attiguo al monastero delle clarisse.
L’ultimo canto alla Madonna - Fu sistemato in una cella del convento, dove rimase immobile, senza parola e ad occhi chiusi. I confratelli, addolorati, at­tendevano la fine. Ad un tratto, il Santo aprì gli occhi, raccolse le forze, alzò le braccia e, con voce esile, intonò un canto alla Madonna, il suo canto preferito: «O gloriosa Domina, excelsa super sidera…! (O Donna gloriosa, alta sopra le stelle…!). Era la preghiera del figlio che invoca l’aiuto della mamma nell’ora della morte.
«Vedo il mio Signore!» - Dopo questo canto, il suo volto divenne luminoso; alzò gli occhi tenendoli fissi verso l’alto come se vedesse qualcosa. Un confratello gli chiese cosa stesse guardando; rispose: «Vedo il mio Signore!». Visse ancora qualche istante, scandito dalle preghiere e dal pianto dei confratelli; poi, piamente, si addormentò nel Signore. Era il vespro del 13 giugno 1231.
I bambini annunciano la morte - I frati decisero di tenere segreta la noti­zia della morte e di trasferire di nascosto la salma a S. Maria Mater Domini. La lo­ro idea era saggia e opportuna. Ma, poco dopo, tutta Padova era al corrente dell’accadu­to. Gruppi di ragazzi, mossi da ispirazione interiore, si riversarono per le vie della città gridando: «È morto il Santo! È morto frate Antonio!». Erano i suoi amici più cari che, addolorati, lo piangeva­no e lo acclamavano. Come per Francesco furono le allodole, così per Anto­nio furono i fanciulli a diffondere l’annuncio che il loro amico era morto: li aveva lasciati, per ritornare al «suo Signore!»
CONCLUSIONE
Prima di deporre la penna, viene spontanea un’ulti­ma considerazione. C’è chi crede e chi non crede ai miracoli di S. Anto­nio, ma vi è un miracolo che non può essere contestato da nessuno: la venerazione universale che questo santo è riuscito a guadagnarsi dappertutto; è questo un feno­meno assolutamente unico e umanamente inspiegabile. Immagino che tu sia stato a Padova, la città del suo cuore, dove ogni anno centinaia di migliaia di pellegri­ni giungono da tutto il mondo, ansiosi di comunicare, con lui, sfiorando con la mano il marmo ormai corroso dell’arca, che racchiude le sue ossa. Perché S. Antonio «piace» tanto? Perché continua ad attirare devoti, nonostante i tempi grami che corro­no per la fede? La risposta si trova nel Bambino, che stringe tra le braccia, nel giglio che tiene nella mano e nell’abito francescano che egli porta. Fratello, nasce anche per te un impegno spontaneo: quello di conoscere il vero volto del Santo, perché ma­turi in te una devozione autentica, che ti faccia vedere in lui un fratello che aiuta ad incontrare Gesù. Il Santo di Padova accompagni ognuno di noi con la sua protezione e ci conservi sulla via del Bene.


Per approfondimenti sui suoi scritti visita il sito www.santantonio.org/portale/home.asp

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