Se dovrai attraversare il deserto, non temere, Io sarò con te.
Se dovrai camminare nel fuoco, la sua fiamma non ti brucerà.
Seguirai la mia luce nella notte, sentirai la mia forza nel cammino,

io sono il tuo Dio, Signore.
Sono io che ti ho fatto e plasmato, ti ho chiamato per nome.
Io da sempre ti ho conosciuto e ti ho dato il mio amore.
Perché tu sei prezioso ai miei occhi, vali più del più grande dei tesori,

Io sarò con te dovunque andrai.

La quinta parola: “Ho sete”


I soldati che facevano la guardia a Gesù, udirono la vittima morente che invocava il Padre con il nome di “Eloi”, ma non erano in grado di capire tutta la frase. Avevano una vaga conoscenza dell’aramaico e l’unica parola che riuscirono a capire fu “Eloi”. Avevano sentito di una strana favola di un uomo che si chiamava Elia che, a quanto assicuravano i giudei, era stato trasportato in cielo su un carro di fuoco e forse quest’uomo, che si riteneva un profeta, invocava il ritorno di Elia per liberarsi. Intanto Gesù continuava la sua preghiera, sembrava che per lui la vita non avesse nessun altro significato. Rimaneva un’altra profezia per il compimento dell’opera intera, un altro segno davanti al quale, più tardi, quelli che apriranno gli occhi crederanno, e il salmista aveva lasciato scritto:”A Te è ben noto l’oltraggio ch’io soffro, stanno a te innanzi tutti i miei nemici. Il mio cuore è spezzato dall’oltraggio, insaziabile è la vergogna e l’onta, attendevo da te un conforto che non venne, e non trovai consolatori. E per cibo essi mi han dato il fiele, alla mia sete mi hanno dato da bere aceto”.

Era il momento che l’ultima profezia avrebbe dovuto avverarsi, poi la coltre di morte sarebbe calata. Per alcuni fece il prodigio di cambiare acqua in vino, per altri moltiplicò i pani per sfamarli, ma per lui si era accontentato di sostare vicino ad un pozzo domandando da bere ad una donna sconosciuta: “Dammi da bere”. Gesù conosceva l’arsura con la quale sarebbe morto e la sete traccia il tormento dell’anima dannata. “Padre Abramo, [così parlò  il ricco Epulone che giace nelle viscere del tartaro (inferno) rivolgendosi ad Abramo] abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del suo dito per rinfrescare la mia lingua, perché io spasimo in questa fiamma”.

Parlando della carità verso gli altri metteva in risalto il “bicchiere d’acqua” dato in suo nome. Al Tempio, all’inizio della settimana, aveva esclamato, in un momento di depressione: “Ora la mia anima è turbata.” E che diro Io? “Padre, liberami da quest’ora”. Poco tempo prima nella Giudea, in un altro momento triste pieno di contrarietà, aveva esclamato:“Padre, ti rendo lode perché hai nascosto queste cose ai saggi ed ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.” Per poter afferrare anche il lontano significato della preghiera di Gesù sarà bene aver presente una caratteristica della sua vita, che di solito non è tenuta in considerazione; Gesù nella sua vita fu uno che umanamente si direbbe un solitario.

Non è il caso di soffermarci sulla sua infanzia e nemmeno sui lunghi trent’anni passati durante i quali per quelli che lo conoscevano era soltanto “Non è costui il figlio del falegname?”. In tutto quel periodo era soltanto il figlio del falegname e basta. Ed è per questa ragione che non poteva vantare nessun diritto, ma quando si rivelò “essi si scandalizzarono di Lui”. In Galilea non ricevette certamente una buona accoglienza, chi lo riconosceva diceva: “E’ il profeta che deve venire al mondo”. In Gerusalemme le cose andarono peggio, quelli che contavano socialmente lo osteggiavano, ma più lo osteggiavano più Gesù si imponeva “Come mai costui sa di lettere, se non ha mai studiato?”, “Noi sappiamo da dove viene quest’uomo, ma quando verrà il Cristo nessuno saprà donde sia”, “Vi è forse uno solo dei capi o dei farisei che abbia creduto in Lui?”, “Scruta le scritture e vedrai che un profeta non può venire da Nazareth”, “Non abbiamo noi ragione a dire che sei un samaritano e hai un demonio?”, “Ha un demonio ed è pazzo! Perché state ad ascoltarlo?”, “Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero e non andarono più con Lui”.

Ogni volta che si faceva vedere in Gerusalemme, in Galilea, poteva dire di non avere “dove posare il capo” e nella città santa non poteva mai passare una notte. Anche con i suoi c’era tanta distanza che Gli faceva sentire il suo isolamento “Non avete ancora capito” aveva dovuto dire una volta sul lago di Galilea. Quante volte li aveva ripresi per mancanza di fede. Quante volte era in una situazione di contrasto e, con tutto l’amore che voleva far arrivare al cuore dei suoi, doveva ripiegarsi su se stesso disilluso. Persino nell’ultima cena aveva dovuto sospirare: “Da tanto tempo sono con voi e voi non mi avete conosciuto”,  sospiro che fu ripreso un’ora dopo nell’orto: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me”. Sono questi i momenti in cui Gesù sentiva viva la tristezza dell’isolamento che è comune a tutti gli uomini. Quando la folla lo osteggiava a Cafarnao, si rivolse ai suoi e disse: “Volete andarvene anche voi?”. Egli aveva guarito dieci lebbrosi ed uno solo tornò a Lui per ringraziarlo ed Egli osservò: “Non erano forse dieci i guariti? Dove sono gli altri nove?”

La sera prima che Gesù venisse messo in croce, nel cenacolo disse: “Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui voi sarete dispersi, ciascuno per conto suo e mi lascerete solo”. In San Giovanni rimasero così vive le sue parole che le tenne come sfondo nel suo vangelo “Egli era nel mondo ed il mondo per mezzo di lui fu fatto ed il mondo non l’ha conosciuto. E’ venuto  nella sua proprietà ed i suoi non l’hanno accolto”.San Giovanni, San Matteo e San Luca gli fanno eco nel grido pieno d’angoscia “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono inviati a te! Quante volte io volli  radunare i tuoi figlioli, come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le ali e tu non hai voluto!”.

San Matteo e San Giovanni mettono per ben 40 volte sulle labbra di Gesù il nome del Padre, suo compagno indivisibile anche quando tutti lo abbandonavano:”Padre ti ringrazio! Padre, liberami da quest’ora! Padre l’ora è venuta! Io e il Padre siamo una cosa sola! Io non sono solo, il Padre è con me !”. La notte dell’ultima cena, all’entrata nell’orto, quando i suoi persecutori infierivano, Gesù disse “Non berrò io il calice che mio Padre mi ha dato?” Vediamo di comprendere che cosa c’era in fondo a questo calice, promise l’eterna beatitudine a quelli che gli avessero dato da bere.

Durante la predicazione nel Tempio, il punto più culminante sembra raggiunto quando Egli esclamò: “Se qualcuno ha sete venga a me e beva”. Dei suoi patimenti, questo fu l’unico che Gesù Cristo fece durante la sua passione. La perdita di sangue, il digiuno prolungato, avevano provocato in Gesù una sete insostenibile. D’altra parte non si trattava di una sete di cui Gesù potesse farne ameno, aveva superato le tentazioni nel deserto per quaranta giorni soffrendo la fame e la sete, ma in quel momento le scritture dovevano avere il loro pieno compimento, non si trattava di un lamento, ma di un comando.

Dopo ciò Gesù, sapendo che tutto era compiuto, affinché si adempissero le scritture, disse: “Ho sete”.
Le persone che erano presenti non avevano niente, anche Maria, sua Madre che intercedeva sempre per gli altri, aveva le mani vuote.Soltanto i soldati di guardia avevano la possibilità di ricorrere ed un rimedio.Nelle loro borracce avevano del vino, vino che i giudei usavano per le lunghe ore di guardia per stare svegli e che era più aceto che vino.Giaceva per terra una spugna, non deve far meraviglia la spugna perché veniva usata dai soldati per asciugarsi il sudore delle mani e della faccia per il caldo che faceva.

Un soldato afferrò la spugna, immergendola nel boccale, poi preso un bastone, un gambo d’issopo, lo fissò alla spugna così inzuppata, e l’accostò alle labbra insanguinate di Gesù. Gesù sorseggiò, anche se poche ore prima aveva rifiutato una bevanda che conteneva del narcotico. Accettando voleva premiare quest’ultimo atto di carità fatto dal carnefice, che veniva rimproverato dai suoi compagni: “Lascia perdere, vediamo se viene Elia a salvarlo”.Gesù voleva onorare l’ultimo uomo che volle dargli refrigerio nell’ora del suo tormento.Era l’ultimo uomo che in terra gli faceva un servizio.
Gesù aveva detto: “Perché chi vi darà un bicchier d’acqua in mio nome, in verità vi dico, non perderà la sua ricompensa”.


"Ho sete": Gesù, Dio fatto uomo, creatore del mondo, chiede all'uomo dell'acqua! Ma non chiede l'acqua terrena, bensì chiede un pò d'amore. Questa parola rivela la sofferenza di Dio senza l'uomo.
Amare vuol dire, prima di tutto, dare, e Dio ha dato all'uomo la sua creazione.
Amare vuol dire rivelare se stessi a chi ama, e Dio si è rivelato a noi attraverso il Verbo fatto carne.
Amare significa soffrire per chi si ama, e ora Dio sta soffrendo per noi sull'albero della croce.
Amare significa diventare uno con chi si ama, e Dio ci ha amato tanto da istituire l'Eucaristia, affinchè possiamo rimanere in Lui e Lui in noi.
Amare vuo dire desiderare di rimanere eternamente con chi si ama, e Dio ci ha promesso un adimora eterna: il paradiso.
Egli ha diritto al nostro amore, perchè così spesso lasciamo che muoia di sete?

Tu hai dato i tuoi occhi al cieco; Tu hai dato le tue mani a chi non aveva mani; tu ha dato i tuoi piedi allo zoppo; Tu hai dato il tuo respiro a chi era morto. Ed anch'io, ferito da ogni parte dai miei peccati, guardo le tue piaghe aperte e ricevo da esse l'unguento della tua misericordia. Ma quante volte hai cercato al mio cuore, e non vi hai trovato nulla; eppure ti sei fatto ultimo, hai dato la Vita, perchè anche io diventassi figlio nel Figlio. Signore Gesù, di fronte al tuo amore resta solo il silenzio di chi ti ama e non ha parole.

Preghiamo

Maria, Madre di Gesù e Madre mia, tu sei stata la prima ad udire il grido di Gesù "Ho sete". Tu sai quanto è reale e profondo il Suo amore per me e per i poveri, io sono Tuo. Maria, Madre mia, istruiscimi, portami al cospetto dell'Amore nel Cuore di Gesù Crocifisso. Con il Tuo aiuto ascolterò La Sete di Gesù e sarà per me parola di Vita. Restandoti vicino Gli darò il mo amore, e la possibilità di amarmi, e diventare quindi causa della Tua Gioia, saziando così la Sete d'Amore che Gesù ha per le anime. Amen. (Madre Teresa di Calcutta)





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