Antifona d'ingresso
Darò a voi dei pastori secondo il mio cuore,
essi vi guideranno con sapienza e dottrina. (Ger 3,15)
Darò a voi dei pastori secondo il mio cuore,
essi vi guideranno con sapienza e dottrina. (Ger 3,15)
Lettera di san Paolo apostolo a Tito 3,1-7.
Carissimo, ricorda a tutti di esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona;
di non parlar male di nessuno, di evitare le contese, di esser mansueti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini.
Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda.
Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini,
egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo,
effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.
Salmi 23(22),1-3a.3b-4.5.6.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male,
perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 17,11-19.
Carissimo, ricorda a tutti di esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona;
di non parlar male di nessuno, di evitare le contese, di esser mansueti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini.
Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda.
Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini,
egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo,
effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.
Salmi 23(22),1-3a.3b-4.5.6.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male,
perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 17,11-19.
Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza,
alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!».
Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce;
e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?
Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse:
«Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!».
O M E L I A
a cura di
Qumran2.net
Qumran2.net
Monaci Benedettini Silvestrini
I dieci lebbrosi
I lebbrosi, ai tempi del Signore, erano gli emarginati per eccellenza, e lo sono rimasti quasi fino ai nostri giorni. Soltanto alcuni pietosamente lanciavano a distanza qualche tozzo di pane o qualcosa da mangiare. La loro malattia, assolutamente incurabile, era ritenuta motivo di contagio, di contaminazione e di impurità. Era davvero misera la loro sorte anche perché oltre l'umiliazione del male, erano additàti come responsabili di gravi peccati che avrebbero procurato loro quel terribile castigo divino. Erano trattati come scomunicati. Ne fa fede il famoso libro di Giobbe. Comprendiamo così perché i dieci lebbrosi che vanno incontro a Gesù si fermano a distanza e sono costretti a gridare la loro invocazione. «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». È il loro grido a Gesù, la loro intensa ed essenziale preghiera. Quel «Maestro», diverso dagli altri, sicuramente li guarderà con pietà e compassione. Potrà purificarli nel corpo e nell'anima. Non avviene il miracolo all'istante come spesso faceva Gesù: ricevono un ordine: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». Significava per loro andate a prendere la certificazione della avvenuta guarigione. Era compito dei sacerdoti che di conseguenza sancivano la loro riammissione nella comunità e nella vita normale. Durante il tragitto si sentono guariti, ma nove di loro proseguono il tragitto, smaniosi di ricevere l'auspicata dichiarazione di completa guarigione. Uno solo torna indietro a ringraziare Gesù. È una proporzione umiliante anche per noi: su dieci guariti dal Signore uno solo torna e rendere grazia al grande benefattore. La conseguenza di ciò è della massima importanza: colui che torna a ringraziare viene non solo guarito come gli altri nove, ma salvato. «Álzati e và; la tua fede ti ha salvato!». La differenza è sostanziale: la guarigione riguarda il corpo e il tempo, la salvezza riguarda l'anima e l'eternità. Guariti e ingrati: è il rischio di tanti di noi che ricolmi di doni divini dimentichiamo la doverosa gratitudine. I santi del cielo cantano in eterno la bontà infinita di Dio, lo, lodano e lo benedicono per la sua misericordia. Dovremmo spendere molta della nostra preghiera per dire grazie al Signore per le meraviglie che egli compie per noi. Il fatto che sia uno straniero a rendere grazie a Gesù ci induce a pensare che talvolta proprio i prediletti siano i meno attenti ad esprimere la dovuta gratitudine. Che non sia l'assuefazione a tradirci!
I dieci lebbrosi
I lebbrosi, ai tempi del Signore, erano gli emarginati per eccellenza, e lo sono rimasti quasi fino ai nostri giorni. Soltanto alcuni pietosamente lanciavano a distanza qualche tozzo di pane o qualcosa da mangiare. La loro malattia, assolutamente incurabile, era ritenuta motivo di contagio, di contaminazione e di impurità. Era davvero misera la loro sorte anche perché oltre l'umiliazione del male, erano additàti come responsabili di gravi peccati che avrebbero procurato loro quel terribile castigo divino. Erano trattati come scomunicati. Ne fa fede il famoso libro di Giobbe. Comprendiamo così perché i dieci lebbrosi che vanno incontro a Gesù si fermano a distanza e sono costretti a gridare la loro invocazione. «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». È il loro grido a Gesù, la loro intensa ed essenziale preghiera. Quel «Maestro», diverso dagli altri, sicuramente li guarderà con pietà e compassione. Potrà purificarli nel corpo e nell'anima. Non avviene il miracolo all'istante come spesso faceva Gesù: ricevono un ordine: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». Significava per loro andate a prendere la certificazione della avvenuta guarigione. Era compito dei sacerdoti che di conseguenza sancivano la loro riammissione nella comunità e nella vita normale. Durante il tragitto si sentono guariti, ma nove di loro proseguono il tragitto, smaniosi di ricevere l'auspicata dichiarazione di completa guarigione. Uno solo torna indietro a ringraziare Gesù. È una proporzione umiliante anche per noi: su dieci guariti dal Signore uno solo torna e rendere grazia al grande benefattore. La conseguenza di ciò è della massima importanza: colui che torna a ringraziare viene non solo guarito come gli altri nove, ma salvato. «Álzati e và; la tua fede ti ha salvato!». La differenza è sostanziale: la guarigione riguarda il corpo e il tempo, la salvezza riguarda l'anima e l'eternità. Guariti e ingrati: è il rischio di tanti di noi che ricolmi di doni divini dimentichiamo la doverosa gratitudine. I santi del cielo cantano in eterno la bontà infinita di Dio, lo, lodano e lo benedicono per la sua misericordia. Dovremmo spendere molta della nostra preghiera per dire grazie al Signore per le meraviglie che egli compie per noi. Il fatto che sia uno straniero a rendere grazie a Gesù ci induce a pensare che talvolta proprio i prediletti siano i meno attenti ad esprimere la dovuta gratitudine. Che non sia l'assuefazione a tradirci!
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