IL SENSO CRISTIANO DEL DIGIUNO E DELL’ASTINENZA
2. Il digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù. È vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e di astinenza. Ma ricorda la necessità del digiuno per lottare contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente significativi, ne mette in luce l’importanza e ne indica lo spirito e lo stile secondo cui viverlo. Quaranta giorni di digiuno precedono il combattimento spirituale delle “tentazioni”, che Gesù affronta nel deserto e che supera con la ferma adesione alla parola di Dio: “Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). Con il suo digiuno Gesù si prepara a compiere la sua missione di salvezza in filiale obbedienza al Padre e in servizio d’amore agli uomini. Riprendendo la pratica e il valore del digiuno in uso presso il popolo di Israele, Gesù ne afferma con forza il significato essenzialmente interiore e religioso, e rifiuta pertanto gli atteggiamenti puramente esteriori e “ipocriti” (cf. Mt 6,1-6.16-18): digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre “che è nel segreto” e “che vede nel segreto” (Mt 6,18). Sono un aspetto essenziale della sequela di Cristo da parte dei discepoli. Quando gli viene domandato per quale motivo i suoi discepoli non praticano le forme di digiuno che sono in uso presso taluni ambienti del giudaismo del tempo, Gesù risponde: “Finché [gli invitati alle nozze] hanno lo sposo con loro, non possono digiunare” (Mc 2,19). La pratica penitenziale del digiuno non è adatta a manifestare la gioia della comunione sponsale dei discepoli con Gesù. Ma egli subito aggiunge: “Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno” (Mc 2,20). In queste parole la Chiesa trova il fondamento dell’invito al digiuno come segno di partecipazione dei discepoli all’evento doloroso della passione e della morte del Signore, e come forma di culto spirituale e di vigilante attesa, che si fa particolarmente intensa nella celebrazione del Triduo della santa Pasqua. Il riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per definire il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, come di ogni altra forma di mortificazione: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). È infatti nella sequela di Cristo e nella conformità con la sua croce gloriosa che il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e vivere con frutto la penitenza.
9. Il digiuno e l’astinenza, nella loro originalità cristiana, presentano anche un valore sociale e comunitario: chiamato a penitenza non è solo il singolo credente, ma l’intera comunità dei discepoli di Cristo. Per rendere più manifesto il carattere comunitario della pratica penitenziale la Chiesa stabilisce che i fedeli facciano digiuno e astinenza negli stessi tempi e giorni: è così l’intera comunità ecclesiale ad essere comunità penitente. Questi tempi e giorni, come scrive Paolo VI, vengono scelti dalla Chiesa “fra quelli che, nel corso dell’anno liturgico, sono più vicini al mistero pasquale di Cristo o vengono richiesti da particolari bisogni della comunità ecclesiale”. Fin dai primi secoli il digiuno pasquale si osserva il venerdì santo e, se possibile, anche il sabato santo fino alla veglia pasquale; così come si ha cura di iniziare la Quaresima, tempo privilegiato per la penitenza in preparazione alla Pasqua, con il digiuno del mercoledì delle ceneri o per il rito ambrosiano con il digiuno del primo venerdì di Quaresima. Mentre il digiuno nel sacro Triduo è un segno della partecipazione comunitaria alla morte del Signore, quello d’inizio della Quaresima è ordinato alla confessione dei peccati, alla implorazione del perdono e alla volontà di conversione. Anche i venerdì di ogni settimana dell’anno sono giorni particolarmente propizi e significativi per la pratica penitenziale della Chiesa, sia per il loro richiamo a quel venerdì che culmina nella Pasqua, sia come preparazione alla comunione eucaristica nell’assemblea domenicale: in tal modo i cristiani si preparano alla gioia fraterna della “pasqua settimanale” - la domenica, il giorno del Signore risorto - con un gesto che manifesta la loro volontà di conversione e il loro impegno di novità di vita. La celebrazione della domenica sollecita, infatti, la comunità cristiana a dare concretezza e slancio alla propria testimonianza di carità: “È soprattutto la domenica il giorno in cui l’annuncio della carità celebrato nell’eucaristia può esprimersi con gesti e segni visibili concreti che fanno di ogni assemblea e di ogni comunità il luogo della carità vissuta nell’incontro fraterno e nel servizio verso chi soffre e ha bisogno. Il giorno del Signore si manifesta così come il giorno della Chiesa e quindi della solidarietà e della comunione”. Ciò acquista maggior significato se la domenica è stata preceduta dai venerdì di digiuno, di astinenza e di mortificazione, ordinati alla preghiera e alla carità.
11. Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza spingerà i credenti non solo a coltivare una più grande sobrietà di vita ma anche ad attuare un più lucido e coraggioso discernimento nei confronti delle scelte da fare in alcuni settori della vita di oggi: lo esige la fedeltà agli impegni del battesimo.
- Ricordiamo, a titolo di esempio, alcuni comportamenti che possono facilmente rendere tutti, in qualche modo, schiavi del superfluo e persino complici dell’ingiustizia:
- il consumo alimentare senza una giusta regola, accompagnato a volte da un intollerabile spreco di risorse;
- l’uso eccessivo di bevande alcoliche e di fumo;
- la ricerca incessante di cose superflue, accettando acriticamente ogni moda e ogni sollecitazione della pubblicità commerciale;
- le spese abnormi che talvolta accompagnano le feste popolari e persino alcune ricorrenze religiose;
- la ricerca smodata di forme di divertimento che non servono al necessario recupero psicologico e fisico, ma sono fini a se stesse e conducono a evadere dalla realtà e dalle proprie responsabilità;
- l’occupazione frenetica, che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione e alla preghiera;
- il ricorso esagerato alla televisione e agli altri mezzi di comunicazione, che può creare dipendenza, ostacolare la riflessione personale e il dialogo in famiglia.
I cristiani sono chiamati dalla grazia di Cristo a comportarsi “come i figli della luce” e quindi a non partecipare “alle opere infruttuose delle tenebre” (Ef 5,8.11). Così, praticando un giusto “digiuno” in questi e in altri settori della vita personale e sociale, i cristiani non solo si fanno solidali con quanti, anche non cristiani, tengono in grande considerazione la sobrietà di vita come componente essenziale dell’esistenza morale, ma anche offrono una preziosa testimonianza di fede circa i veri valori della vita umana, favorendo la nostalgia e la ricerca di quella spiritualità di cui ogni persona ha grande bisogno.
12. Lo stile con il quale Gesù invita i discepoli a digiunare, insegna che la mortificazione è sì esercizio di austerità in chi la pratica, ma non per questo deve diventare motivo di peso e di tristezza per il prossimo, che attende un atteggiamento sereno e gioioso. Questa delicata attenzione agli altri è una caratteristica irrinunciabile del digiuno cristiano, al punto che esso è sempre stato collegato con la carità: il frutto economico della privazione del cibo o di altri beni non deve arricchire colui che digiuna, ma deve servire per aiutare il prossimo bisognoso: “I cristiani devono dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, è stato messo da parte”, ammonisce la Didascalia Apostolica. In questo senso il digiuno dei cristiani deve diventare un segno concreto di comunione con chi soffre la fame, e una forma di condivisione e di aiuto con chi si sforza di costruire una vita sociale più giusta e umana. Anche all’interno del nostro Paese, dove permangono e “per certi versi si accentuano acute contraddizioni, come le molteplici forme di povertà, antiche e nuove”, la Chiesa si sente interpellata a rivivere e riproporre, nello spirito del vangelo della carità, la pratica penitenziale come segno e stimolo concreto a farsi carico delle situazioni di bisogno e ad aiutare le persone, le famiglie e le comunità nell’affrontare i problemi quotidiani della vita. Così, i digiuni che accompagnano alcune manifestazioni pubbliche, come sono le assemblee di preghiera e le marce di solidarietà, possono sollecitare persone e famiglie, ma anche comunità e istituzioni, a trovare risorse da mettere a disposizione di organismi impegnati in opere di assistenza e di promozione sociale. In tal modo è possibile realizzare iniziative di soccorso per i più poveri, come i servizi di prima accoglienza o i sostegni domiciliari per le persone anziane, e nello stesso tempo sensibilizzare le comunità alle esigenze della pace, rendendole accoglienti e solidali con le vittime della violenza e delle guerre.
Disposizioni normative
13. Concludiamo la presente Nota pastorale con le seguenti disposizioni normative, che trovano la loro ispirazione e forza nel canone 1249 del Codice di diritto canonico: “Per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo; ma perché tutti siano tra loro uniti da una comune osservanza della penitenza, vengono stabiliti dei giorni penitenziali in cui i fedeli attendano in modo speciale alla preghiera, facciano opere di pietà e di carità, sacrifichino se stessi compiendo più fedelmente i propri doveri e soprattutto osservando il digiuno e l’astinenza”. Queste disposizioni normative sono la determinazione della disciplina penitenziale della Chiesa universale, che i canoni 1251 e 1253 del Codice di diritto canonico affidano alle conferenze episcopali.
1) La legge del digiuno “obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate”.
2) La legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi.
3) Il digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il mercoledì delle ceneri (o il primo venerdì di Quaresima per il rito ambrosiano) e il venerdì della passione e morte del Signore nostro Gesù Cristo; sono consigliati il sabato santo sino alla veglia pasquale.
4) L’astinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità (come il 19 o il 25 marzo). In tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si deve osservare l’astinenza nel senso detto oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità.
5) Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età.
6) Dall’osservanza dell’obbligo della legge del digiuno e dell’astinenza può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute. Inoltre, “il parroco, per una giusta causa e conforme alle disposizioni del vescovo diocesano, può concedere la dispensa dall’obbligo di osservare il giorno (...) di penitenza, oppure commutarlo in altre opere pie; lo stesso può anche il superiore di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, se sono clericali di diritto pontificio, relativamente al propri sudditi e agli altri che vivono giorno e notte nella loro casa”.
Una grazia e una responsabilità per tutta la Chiesa
17. Con la pratica penitenziale del digiuno e dell’astinenza la Chiesa accoglie e vive l’invito di Gesù ai discepoli ad abbandonarsi fiduciosi alla provvidenza di Dio, senza alcuna ansia per il cibo: “La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. ... Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia. ... Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12,23.29.31).
Camillo card. Ruini
vicario generale di sua santità per la diocesi di Roma
presidente della Conferenza episcopale italiana
Dionigi Tettamanzi
segretario generale
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