Terzo incontro
Verso
Gerusalemme
Terzo
monte: la
Trasfigurazione
Cammino
spirituale per giovani
Il monte della
trasfigurazione illumina un’ampia parte della sezione del vangelo
di Matteo che presenta l’ultima parte della salita di Gesù verso
Gerusalemme
Come spesso accade, nel
modo di raccontare della Bibbia, l’inizio di una sezione è legato
con la fine dell’altra. Infatti, è proprio nel racconto del
rimprovero di Gesù a Pietro del cap. 16, che Matteo introduce questo
nuovo cammino.
Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli
che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli
anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e
risuscitare il terzo giorno (Mt 16,21).
Questa breve frase apre
una nuova fase dell’esperienza di Gesù con i suoi discepoli: d’ora
in poi al centro del suo insegnamento sarà la preoccupazione di
prepararli a superare lo scandalo della croce e a comprendere il
mistero della resurrezione. È una sezione di vangelo fondamentale
anche per noi: il cuore della nostra fede infatti è proprio il
mistero pasquale, mistero di morte e di risurrezione, di sconfitta e
di vittoria, di luce e di tenebre. Perché allora il Signore non ha
cominciato prima a parlare di questo ai suoi? Probabilmente
all’inizio dell’annuncio del Vangelo una rivelazione di questo
genere avrebbe smarrito i discepoli, avrebbe impedito loro di capire
chi era veramente Gesù.
Ora invece i Dodici hanno
visto Gesù, lo hanno ascoltato, sono rimasti affascinati dalle sue
parole, hanno seguito con attenzione i suoi gesti e hanno visto il
suo potere. Ormai sono legati a Gesù profondamente. San Giovanni lo
mostra con una bellissima frase che mette in bocca a Pietro:
“Signore
da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv
6, 68)
A questo punto, proprio
perché essi si fidano di Lui, Gesù può cominciare a parlare di
croce, di sofferenza. È un discorso difficile da capire, soprattutto
da accettare: è possibile accettarlo solo se uno ha una fiducia
immensa in Gesù, se uno è legato da un rapporto vero di amicizia
con Lui. È quello che verrà chiesto anche a noi per meditare d’ora
in poi sul vangelo e sul suo messaggio. La professione di fede di
Pietro è la condizione perché Gesù possa cominciare a parlare
della passione.
Dove
andare…
La salita al monte della
trasfigurazione si apre dunque con questo annuncio e la sua apparente
assurdità. Che la passione di Gesù sia frutto di un complotto, che
il male abbia dei colpevoli che proditoriamente lo compiono, tutto
questo si può capire, ma che senso può avere la frase di Gesù? Che
senso può avere questa “necessità” di andare a soffrire e
morire?
Pietro che si oppone a
questo, ha certo tutta la nostra comprensione. Ma non ha la
comprensione di Gesù, anzi sembra che improvvisamente il Signore
abbia perso tutta la sua proverbiale pazienza nei confronti dei
discepoli, e di Pietro in modo speciale. Matteo racconta la cosa
giocando un po’ sui gesti e sulle parole.
Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare
dicendo:”Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”.
Ma egli, voltandosi, disse a Pietro:”Lungi da me, satana! Tu mi sei
di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”.
(Mt 16, 22-23)
Poco prima Gesù aveva
definito Pietro come la pietra di fondamento, l’appoggio solido da
cui iniziare per costruire la sua Chiesa. E subito era partito per
questa impresa cominciando ad annunciare la sua passione e
risurrezione. Si trattava di camminare subito verso Gerusalemme,
verso questo incontro-scontro. Ma ecco che Pietro cambia ruolo, da
pietra di fondamento diventa scandalo, cioè pietra
d’inciampo ed allora giustamente Gesù dice:"Vattene
dietro a me!”.
Lo scansa perché non
ostacoli il suoi cammino verso il compimento del piano del Padre.
Pietro vorrebbe impedire il cammino di Cristo verso la croce, ma così
facendo impedisce anche la risurrezione e la salvezza!
Pietro è l’uomo che
vuol tracciare la via a Dio secondo i suoi gusti, nella direzione del
successo e del potere e soprattutto in direzione opposta
all’umiliazione e alla morte.
Gesù non accetta questa
ipocrisia, la morte fa parte della nostra condizione umana sulla
terra ferita dal peccato e lui è venuto a farsi carico della nostra
vita in ogni suo aspetto: anche la morte.
Dunque Gesù morirà,
morirà come muore ogni uomo, perché si è fatto uomo sul serio e
non per gioco.
Il primo senso di questo
dover andare a Gerusalemme, è scritto nella scelta di Gesù di
condividere la nostra vita fino in fondo.
Nella tua vita…
La nostra società ha tanta paura della morte da non volerne parlare
mai, ma non è facendo finta che non esista la sofferenza ed il male
che noi potremo sconfiggerli.
Gesù ci invita a prendere sul serio la nostra condizione umana in
ogni aspetto.
Nella sua avventura
umana, profondamente umana, Gesù ha vissuto fino ad ora il momento
dell’impegno, dell’azione, del successo e del potere.
Basta guardare indietro
verso gli inizi del vangelo e fino a questo momento. Gesù è
arrivato a mostrare così chiaramente la Sua potenza che i discepoli
lo hanno riconosciuto come Messia, il Salvatore, il Redentore.
Ora Gesù può cominciare
a salvare radicalmente l’uomo, può iniziare ad affrontare il male
alla radice, può cominciare a cancellare il buio e la morte dalla
nostra vita. Ecco il cammino che lo attende, il cammino che il Padre
ha tracciato per lui, ma Gesù comincia a dire ai suoi discepoli
che questo cammino non è un cammino trionfale. Non è venuto a
vincere il male dall’alto del carro del suo potere divino, ma dal
nostro livello. Gesù combatte la sua battaglia da uomo, iniziando a
camminare verso la croce. Nella vita dell’uomo vero, nella nostra
vita c’è infatti accanto al momento della forza e della gloria,
anche il momento della debolezza e della passione. Anche questo è un
momento prezioso, perché anche così si fa la volontà di Dio. Gesù
deve conoscere questa esperienza della passione e della
sofferenza. Deve vivere anche in questo angolo così oscuro della
realtà umana il suo amore al Padre, perché tutta la vita umana sia
salvata e redenta, perché la Sua umanità sia piena. Perché nessun
uomo sulla terra possa sentirlo lontano dalla sua condizione
presente, sia essa di forza, o di tremenda debolezza e tenebra.
Ma c’è di più:
l’amore umano espresso nella sofferenza e al di là della
sofferenza, ha una tale purezza e una tale forza, che è l’amore
più vero, più potente, più fecondo. L’amore vero e fecondo è
l’amore che sa anche soffrire.
La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la
sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più
dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. (Gv
16,21)
Per questo secondo motivo
Gesù doveva salire a Gerusalemme, perché il suo amore per il Padre
e per noi fosse vissuto al massimo, a quel livello di purezza
assoluta che raggiunge l’amore quando è capace di soffrire.
Nessuno
ha un amore più grande di questo:
dare
la vita per i propri amici. (Gv 15,13)
È a questo livello di
purezza e intensità che l’amore genera la vita, perché solo così
l’amore è tanto gratuito da assomigliare a quello del Creatore,
tanto lontano dall’egoismo da diventare dono, dono di vita.
Nella tua vita…
L’amore che non costa sacrificio è in definitiva un egoismo
camuffato.
Quanto è vero e profondo il tuo amore per Dio e per i fratelli?
Quanto è capace di affrontare anche la fatica e la sofferenza?
La passione di Gesù
dipende certo dalla cattiveria, dall’invidia degli uomini,
dall’odio e dalla menzogna del Sinedrio, dalla vigliaccheria di
Pilato, ma per Gesù, la passione realizzerà il progetto di Dio.
Anche quando gli uomini
usano la loro invidia e violenza, anche lì la nostra vita rimane
nelle mani del Padre e l’amore offerto diventa fecondo, diventa
amore che salva.
Amore che passa dalla
morte ad una nuova vita. È una legge misteriosa scritta da sempre
nell’universo attorno a noi.
Se Gesù comincia solo da
ora a parlare di morte e risurrezione, Dio Padre ha cominciato a
spiegare questo mistero fin dalla creazione del mondo, o meglio fin
da quando il mondo, segnato dal peccato, ha scoperto le doglie del
parto, ha scoperto che nessuna nascita giunge senza che qualcuno
affronti la sofferenza e la fatica per amore, senza che si accetti di
morire per dare la vita. Ogni cosa nell'universo, dalle più piccole
alle più grandi, sottostà a questa legge misteriosa che potremmo
chiamare la legge della pasqua: non c'è nuova vita se qualcuno o
qualcosa non è stato capace di morire un po', di offrire la propria
vita.
Se
il chicco di grano caduto a terra non muore,
rimane
solo; se invece muore, produce molto frutto. (Gv 12,2)
Gesù compie il suo
cammino di sofferenza, non per il desiderio della morte,
dell’annientamento, ma per il desiderio della vita.
Questo è il terzo grande
tema dell’annuncio della passione. Se Gesù si fermasse in questo
cammino, come voleva Pietro, non solo non si sarebbe realizzata la
croce, ma soprattutto non sarebbe giunta la risurrezione!
In tutti e tre gli
annunci passione e risurrezione sono inscindibilmente unite! Gesù è
venuto a vivere e donare la vita, questo passa attraverso la croce,
la vita passa attraverso la morte, una morte che non è più
definitiva, che ha dopo di sé un futuro.
Dopo un tempo di
separazione c’è una vittoria piena e definitiva della morte. Ci
sono i tre giorni del sepolcro che sono i giorni del vuoto, del buio,
ma sono radicalmente provvisori: il terzo giorno, il Figlio dell’uomo
deve risuscitare.
A Pietro e agli altri,
che sono giustamente sconvolti da questa prospettiva misteriosa, Gesù
annuncia con forza la logica apparentemente assurda della croce.
Richiede che abbandonino il loro consueto modo di pensare per
lasciarsi guidare da Lui ad un dono totale che diventerà via di
salvezza.
Allora Gesù disse ai suoi discepoli:”Se qualcuno vuol venire
dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi
perderà la propria vita per causa mia, la troverà. (Mt 16,24-25)
Anche la sofferenza e la
morte prendono senso perché ricevono una prospettiva positiva: dopo
aver perso la vita per amore, non c’è il nulla, ma c’è la
pienezza di vita, c’è la risurrezione.
Nella tua vita...
La logica della risurrezione deve compenetrare tutta la nostra vita.
Sei capace di vedere e testimoniare la sofferenza e la morte in una
prospettiva positiva, di pienezza di vita futura?
Sei giorni dopo...
In questo clima di luce e
di speranza oltre la morte, Matteo ci porta di nuovo sulla cima di un
monte. Un alto molte questa volta, ed in compagnia di Pietro,
Giacomo e Giovanni. Sono i tre che Gesù sceglie quando deve rivelare
qualcosa di particolare, quando il mistero che vuol far conoscere è
impegnativo e non tutti possono subito comprenderlo. Questo ci deve
mettere sull'avviso: il messaggio che il vangelo ci comunica
richiederà tutta la nostra attenzione per poterlo comprendere.
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni
suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu
trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le
sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè
ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e
disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò
qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava
ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua
ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio
prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo». All'udire
ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da
grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi
e non temete». Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non
Gesù solo. E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò
loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio
dell'uomo non sia risorto dai morti». (Mt 17, 1-9)
Per capire questo testo è
necessario fare attenzione ai molti simboli che Matteo usa, a
cominciare da quella strana indicazione iniziale: sei giorni
prima.
Nella bibbia questa indicazione di tempo, assieme a molti altri elementi della narrazione rimandano al monte Sinai, quando Dio stabilì la sua alleanza con il suo popolo. Infatti sei giorni sono il tempo in cui la gloria del Signore, in forma di nube luminosa, dimorò sul monte (Es 24,16). Inoltre il grande protagonista di quell'incontro era stato Mosè il cui volto divenne per qualche tempo luminoso (Es 34,29). Sullo stesso monte, molti secoli dopo, verrà Elia ad incontrare il Signore (1 Re 19). Non ultimo questi due personaggi, Mosè ed Elia, sono accomunati da una sorte misteriosa, perché segnata da una prospettiva eterna (Dt 34 e 2 Re 2). Come si può vedere, ci sono tutti gli elementi della trasfigurazione.
Lo sfondo per comprendere
questo brano ed il suo messaggio per noi è dunque la rivelazione di
Dio al monte Sinai.
In quel momento era
cominciato a nascere il popolo dell’antica alleanza; Dio aveva dato
una grande prospettiva alle promesse fatte ai patriarchi. Anche nella
trasfigurazione c’è una grande prospettiva: se Gesù ha invitato
subito prima i discepoli a guardare ciascuno alla propria croce, ora
li guida a scoprire il senso della vita nuova che è venuto a
portarci.
È una nuova vita che
viene annunciata, e grazie ad essa è proclamato l’inizio di un
nuovo popolo: il popolo della Nuova Alleanza che la Pasqua di Gesù
verrà a sancire. Questo passaggio del vangelo, il momento della
trasfigurazione, non è dunque semplicemente un fatto privato, un
colloquio intimo tra Gesù e alcuni apostoli per rincuorarli in vista
della passione. Se certo immediatamente e storicamente ha avuto
questa prima funzione, la sua prospettiva era però più ampia. Su
quel monte inizia la rivelazione della vita nuova dei salvati ed il
cammino della comunità della nuova alleanza, quella Chiesa che poco
prima Gesù stesso aveva promesso di fondare sulla roccia della fede
di Pietro e sulla disponibilità dei discepoli a portare ciascuno la
propria croce.
Scopriamo il Vangelo…
Il riferimento all’AT è frequente nel Vangelo. Soprattutto è
frequente l’utilizzo di immagini che erano ormai classiche nel
mondo biblico. Nelle note di una buona edizione dei vangeli potrai
sempre trovare indicazioni preziose al riguardo; leggile. Non si
tratta di avere manie intellettuali, ma di avere l’umiltà di
lasciarsi aiutare.
Se leggiamo così il
brano della trasfigurazione non c’è quindi alcuna meraviglia nello
scoprire che per la Chiesa orientale la festa della Trasfigurazione,
che si celebra il 6 agosto, abbia una importanza grandissima. I
nostri fratelli orientali esprimono così la loro sensibilità per la
rilevanza simbolica di questo avvenimento narrato dai vangeli.
Nella tradizione
orientale è infatti considerata la Pasqua dell’estate: il
passaggio dal popolo dell’Antica a quello della Nuova Alleanza.
Nella trasfigurazione sul monte, Geù si manifesta ai suoi discepoli
in tutto lo splendore della vita divina che è in Lui. Una vita che è
venuto a comunicarci e che in questo brano viene annunciata. Questo
splendore è solo anticipo di quello che lo avvolgerà nella notte di
Pasqua e che comunicherà a noi rendendoci figli di Dio.
La trasfigurazione è
dunque l’annuncio della vita divina che Gesù possiede e che ogni
Cristiano riceve da Lui nella potenza dello Spirito Santo.
La spiritualità
cristiana, partendo da questo brano, ha compreso la vita del credente
come un processo di lenta trasformazione in Cristo, Cristo glorioso
che si compirà nella risurrezione finale. Un modo di leggere questo
brano di vangelo è dunque di vedervi un annuncio della risurrezione
e della gloria che ci circonderà. Gesù trasfigurato e Gesù risorto
sono le immagini di come saremo anche noi nella risurrezione finale.
Ma è possibile distinguere queste due immagini, scoprire che se Gesù
trasfigurato annuncia Gesù risorto, parla però anche di una
condizione diversa, di una gloria che precede la risurrezione finale,
che fa gia parte di questo mondo in cammino verso la risurrezione.
Questa immagine ci
interessa in modo particolare, perché non parla solo del nostro
futuro, ma anche del nostro presente.
Infatti il brano della
trasfigurazione, così ricco di simboli che rimandano all’AT, non
parla soltanto del futuro, della vita dopo la risurrezione
finale, ma anche del presente, del nostro oggi, della nostra vita di
figli di Dio nella comunità della nuova alleanza, la Chiesa.
La trasfigurazione è una
visione nel senso più vero del termine. I discepoli non subiscono
una allucinazione, non si tratta di una costruzione simbolica della
loro fantasia, ne di un annuncio profetico di una condizione futura.
Essi “vedono” ciò che già prima c’era, ma non erano capaci di
vedere. Gesù si mostra loro per quello che è e li rende così
capaci di vedere l’invisibile. Un invisibile che lo riguarda e ci
riguarda al tempo stesso.
Vedere
l’invisibile…
Se apriamo gli occhi
della fede sull’invisibile che è reale e presente, la
trasfigurazione ci consegna innanzitutto un messaggio che riguarda
Gesù. Il grande messaggio della trasfigurazione per il presente è
che nella nostra vita non manca la luminosa presenza di Cristo, siamo
solo noi che spesso abbiamo occhi incapaci di riconoscerLo. Anche noi
come gli apostoli vediamo la sua vita umana e non siamo capaci di
intravedere la vita divina in Lui. Dio è presente in mezzo a noi in
Cristo, ma i nostri occhi, come quelli dei discepoli, sono spesso
incapaci di riconoscerlo. Questa condizione non era solo tipica della
via dei discepoli prima della risurrezione di Gesù, ma anche dopo,
quando appare il Signore glorioso, il risorto, la loro vista resta
spesso debole e offuscata nei confronti della sua presenza.
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino
per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome
Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre
discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e
camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
(Lc 24, 13-16)
Ancora
oggi abbiamo bisogno che Dio apra i nostri occhi perché diventiamo
capaci di riconoscerLo presente nella nostra vita: è il dono della
fede.
Per
questo diventa chiaro il collegamento che Matteo fa tra la
trasfigurazione e il Sinai. Al Sinai Israele aveva conosciuto il
Signore e aveva imparato a riconoscere la sua presenza nella nube
luminosa e nel santuario, ma soprattutto nella sua Legge, nella sua
Parola. Il vangelo ci invita a rifare l’esperienza di Israele, ma
con alcune significative correzioni, che Matteo esprime attraverso i
simboli a cui abbiamo accennato. Il primo simbolo è quello della
tenda ed il povero Pietro si trova a fare l'ennesima
figuraccia. Dopo aver scoperto la bellezza del riconoscere la
presenza di Dio in Gesù, e attraverso Lui nella nostra vita, Pietro
non vorrebbe più andarsene, vorrebbe assicurare quella presenza per
sempre. Se nell'AT una tenda, e poi un tempio, contenevano la
misteriosa e concreta presenza di Dio in mezzo al suo popolo, allora
è necessario fare una nuova tenda, anzi tre!
Nella tua vita…
Il desiderio di Pietro di assicurare per sempre la presenza luminosa
di Dio nella sua vita può apparire infantile, ma è la misura della
vera fede. Se non desideriamo ad ogni costo di sperimentare sempre la
vicinanza di Dio, la nostra fede ed il nostro amore per Lui sono
ancora molto deboli.
Non
è necessario che questa volta Gesù intervenga a correggere Pietro
che vuol fare un nuovo tempio, una nuova tenda per tenere Dio per
sempre con sé. Se leggiamo il testo con attenzione alla simbologia
dell’AT, la risposta al desiderio di Pietro arriva subito e
direttamente da Dio. Nell’Esodo infatti Dio mostrava di essere
presente nella tenda quando la nube luminosa la copriva. Ora, sul
monte della trasfigurazione, la nube scende direttamente sugli
apostoli. Non servono più tende o templi, non servono santuari
costruiti da mani di uomo; il santuario che il Signore ha scelto è
il cuore di ogni discepolo.
In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si
accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei
cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio
nome, io sono in mezzo a loro». (Mt 18,19-20)
Dio
è sempre presente in mezzo a noi, se apriamo gli occhi della fede
possiamo riconoscerlo. È l’esperienza spirituale da cui nasce la
conversione di S. Agostino: aveva cercato lungamente Dio intorno a
sé, ma non riuscì a scoprirlo finché non lo cercò in sé,
nell'intimo del suo cuore, da dove sgorgava quella pienezza di vita
che Dio dona ad ogni suo figlio. L'illuminante confronto con l'AT non
si ferma qui, ma ci offre altre ricchezze. Israele al Sinai aveva
sperimentato la presenza di Dio nella sua Parola. Ora gli apostoli
vedono Gesù tra Mosè ed Elia. Questi due personaggi rappresentano
da sempre l'Antico Testamento nella sua interezza: dalle tradizioni
storiche raccolte da Mosè a quelle profetiche iniziate con Elia. Il
Signore lo si incontra dunque presente nella sua Parola dell'AT. È
questa lettura che apre gli occhi della fede e rende capaci di vedere
l'invisibile. La trasfigurazione è dunque un invito ad aprire le
antiche Scritture per incontrare il Signore. C'è però di più.
Pietro stesso, molti anni dopo in una sua lettera, ricordando questo
momento ci fa da guida ad approfondire il mistero.
Non per essere andati dietro a favole artificiosamente
inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del
Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari
della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio
Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce:
«Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».
Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con
lui sul santo monte. E così abbiamo conferma migliore della parola
dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione, come a
lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e
la stella del mattino si levi nei vostri cuori. (2Pt 1, 16-19)
Pietro
ci offre una testimonianza di prima mano sulla trasfigurazione e
soprattutto ci rivela che cosa ha significato per lui questa
esperienza. Innanzitutto vedere Gesù in mezzo ai profeti Mosè ed
Elia gli ha insegnato a riconoscere nelle Scritture di Israele una
guida preziosa, una lampada che brilla in un luogo oscuro e che rende
capaci di vedere l’invisibile. Noi cristiani però abbiamo una
conferma migliore della parola dei profeti, abbiamo la parola diretta
di Dio testimoniata dagli apostoli e dagli evangelisti. Non dobbiamo
guardare soltanto alle passate Scritture di Israele, ma altrettanto e
soprattutto alla parola della predicazione apostolica, al Vangelo,
dove la Parola del Padre in Cristo risplende in tutta la sua
pienezza. In questa parola pronunciata dal Padre e che Pietro ricorda
nuovamente, è mirabilmente sintetizzato l’insegnamento della
Chiesa, che guarda al Vangelo come alla parola del Figlio prediletto,
che il Padre ci invita ad ascoltare.
“Questi è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!”
Riecheggia
non solo la voce del battesimo di Gesù (Mt 3, 17) ma le sue stesse
parole. Dio Padre ripete per due volte la stessa proclamazione
solenne, aggiungendo solo un’esortazione: Ascoltatelo!
In
esse è la sintesi del messaggio evangelico, con ogni evidenza queste
parole, secondo Matteo, rappresentano tutto il Nuovo Testamento come
Mosè ed Elia rappresentano l’antico. Meritano per questo di essere
scrutate con attenzione.
Nella tua
vita…
Tutta la Bibbia ha una grandissima importanza per educare e
rafforzare la fede, per renderci capaci di contemplare il mistero di
Dio, ma le parole del Vangelo hanno una dignità tutta propria.
Quanto ami il Vangelo? Quanto tempo dedichi alla sua lettura, alla
preghiera guidata dalle sue parole?
Il figlio prediletto…
In
queste poche parole ci viene rivelato dal Padre tutto il mistero di
Gesù. In una mirabile sintesi abbiamo la chiave per capire tutta la
passione e risurrezione che seguiranno. Il Padre ricollega così alla
luce della trasfigurazione, il buio misterioso della croce.
Riecheggiano
bellissimi brani dell’AT che parlano del Messia, del Salvatore.
“Questi
è il mio figlio” dice la voce rifacendosi al Salmo secondo,
nel quale così viene proclamato il Messia, il re che salverà
definitivamente il suo popolo instaurando il regno di Dio:
Annunzierò il decreto del Signore.
Egli mi ha detto:Tu sei mio figlio (Sal 2,7)
Egli mi ha detto:Tu sei mio figlio (Sal 2,7)
“Il
prediletto”, continua il Padre.
Riconoscendo
in Gesù il nuovo Isacco, il figlio prediletto per eccellenza, che
Abramo non aveva però esitato a porre sull’altare come sacrificio.
Dio Padre, come un nuovo Abramo, porrà il Figlio sull’altare della
croce e questa volta il sacrificio si compirà fino in fondo.
Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!».
Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico
figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in
olocausto su di un monte che io ti indicherò». (Gn 22, 1-2)
“Nel
quale mi sono compiaciuto” conclude la voce celeste, rimandando
ad un terzo momento chiave della rivelazione biblica, quello
profetico.
Israele
intravede profeticamente la figura del Servo del Signore, il
Salvatore che porterà a tutti la salvezza attraverso il suo
sacrificio e il dono dello Spirito.
Dice il Signore:”Ecco il mio servo che io sostengo, il mio
eletto di cui
mi sono compiaciuto. Ho posto il mio Spirito su di lui”. (Is
42,1)
Non
dovremo dunque meravigliarci se Matteo ci farà leggere tutta la
passione alla luce di queste tre grani immagini dell’AT: il Messia
re, il nuovo Isacco, il Servo sofferente di Isaia.
In
Gesù trova compimento la rivelazione dell’AT e per bocca stessa
del Padre si compie quella del Vangelo. Perché stupirsi che la Voce
concluda con una esortazione che è piuttosto un ordine, un
imperativo per quanti vogliono ricevere la salvezza:
Ascoltatelo!
Nella
trasfigurazione viene offerta una luce chiara che comincia ad
illuminare il mistero che seguirà. Gesù non è posto al centro di
un quadro, ma tutto erompe da Lui. È una rivelazione del suo essere.
In essa si manifesta ciò che è in Lui: quell'elemento vitale
superiore ad ogni forma di vita che Egli possiede come dono del
Padre. Un arco di luce che lo lega la Padre, non distruggendo, ma
esaltando la sua umanità perfetta. Quella pienezza di vita che è la
vita divina che possiede come Figlio prediletto e che è venuto a
portare a quanti accettano di diventare, grazie a Lui, Figli del
Padre celeste.
Scopriamo il Vangelo…
Nella nostra lettura siamo spessissimo passati a parlare da Gesù a
noi e viceversa. Il vangelo infatti mentre parla di Gesù e del suo
mistero di Figlio prediletto, annuncia anche qual è il nostro
destino di figli adottivi, chiamati a diventare simile a Lui. Questa
duplice lettura è basilare nella nostra riflessione credente sul
Vangelo.
Figli
nel Figlio…
Nella
trasfigurazione traspare quel mistero di pienezza di vita che Gesù
possiede, una pienezza di vita determinata dal suo legame col Padre,
la fonte della vita.
Questo
è il mistero di Gesù. In ogni uomo, in realtà c’è un mistero:
quel che vediamo con gli occhi della carne è sempre e solo la
superficie. Bisogna imparare a cogliere la profondità dell’uomo
con gli occhi della fede. E sono questi occhi a scoprire che anche la
nostra vita vive un’eguale comunione con Dio, la fonte della vita.
Anche noi siamo figli e come tali “prediletti” dal padre.
Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo
Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete
rivestiti di Cristo. (Gal 3, 26-27)
Ma
il nostro volto non risplende…
La
vita divina che il Padre ci comunica trova in noi l’ostacolo del
peccato. Dio comunica attraverso il suo Spirito questa pienezza di
vita, ma il peccato interrompe la comunicazione; noi viviamo una vita
dimezzata.
La
trasfigurazione ci rivela in Gesù ciò che noi possiamo essere, ciò
che siamo chiamati ad essere se ci manteniamo uniti a Dio, la fonte
della vita. Alla fine saremo anche noi luminosi, anche noi avremo una
pienezza di vita come Gesù. Anche il nostro volto risplenderà e
udremo la voce del Padre che si compiacerà di noi. Ma il cammino è
ancora lungo e impegnativo, tutto il percorso che i discepoli faranno
fino alla Pasqua non è altro che un’immagine del cammino che
l’umanità deve ancora percorrere per raggiungere la pienezza della
salvezza. Basta discendere dal monte della trasfigurazione per
rendersene immediatamente conto: ci sono altri discepoli alle prese
con una guarigione che non riescono ad ottenere. Giunge Gesù ed il
malato è immediatamente risanato.
Perché,
Signore, non abbiamo potuto curarlo? Perché la nostra vita è così
debole ed oscura, il nostro volto non è luminoso come il tuo, non
siamo ancora capaci di annunciare la risurrezione, anzi, neppure
comprenderla?
La
risposta è sempre la stessa, semplice e diretta, la risposta che
spiega perché non accogliamo la pienezza di vita che il Padre ci
dona e non lasciamo che traspaia al di fuori di noi. Perché
nonostante il ripetuto annuncio che Gesù ci fa del nostro essere
figli del Padre (Mt 17, 24-27) questa figliolanza non porta a piena
maturazione i suoi frutti.
E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a
quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo
qui». E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui
e da quel momento il ragazzo fu guarito.
Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli
chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ed egli
rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete
fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte:
spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà
impossibile. (Mt 17, 17-21)
Il
rimprovero di Gesù non ferma però il suo impegno di condurci alla
pienezza della figliolanza divina. Per questo il Vangelo di Matteo
rimette in marcia Gesù verso Gerusalemme e questo cammino comincia
con quello che viene tradizionalmente definito il Discorso
Ecclesiastico.
Il
capitolo 18 infatti presenta un lungo discorso che continua con
qualche intervallo narrativo anche nel capitolo seguente. Gesù che
ha cominciato ad annunciare la vita divina, dopo che il Padre per lui
e per noi (Mt 17,26) mostra come questa via dia origine alla Chiesa.
Quella
comunità che aveva promesso di fondare sulla roccia di Pietro,
comincia ad essere abbozzata in questo discorso nel quale appaiono le
sue caratteristiche nuove, addirittura sconvolgenti. La vita divina
che lo Spirito ci dona porta infatti con sé un nuovo modo di vivere,
un capovolgimento delle logiche del mondo a cominciare dalla logica
del potere. A cominciare dalla domanda che sorge sempre quando nasce
una comunità: chi è il più grande?
La
luce della trasfigurazione lancia un messaggio di grandezza che
riguarda Gesù, ma che attraverso Lui riguarda ogni uomo.
Ogni
uomo è grande, è luminoso, ha una pienezza di vita e di potere, in
quanto figlio del Padre celeste. Ma la comprensione di questa
grandezza, fondamentale per la costruzione del popolo della nuova
alleanza, della Chiesa deve purificarsi.
È
una luce di grandezza, ma non di grandezza umana.
Ancora
una volta ritorna assieme la luce della Pasqua e il messaggio della
Croce: non c’è vita senza dono, non c’è pienezza senza
disponibilità di spoliazione, non c’è grandezza senza che si
accetti di farsi piccoli per amore.
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo:
«Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù
chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In
verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i
bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque
diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel
regno dei cieli.
E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio,
accoglie me.
Il
cammino, solo apparentemente interrotto, ricomincia. È un’educazione
che Gesù fa dei suoi discepoli, ma al tempo stesso è un’educazione
che Matteo fa di ogni cristiano. Nella luce della trasfigurazione e
mentre si sta avvicinando a Gerusalemme e la Passione, il vangelo di
Matteo riunisce molti insegnamenti di Gesù sulla lotta al male e
allo scandalo, sul perdono e la preghiera. Insegnamenti sulla novità
di vita che l’accoglienza della grazia, della figliolanza divina,
comporta per quanti entrano a far parte del popolo della Nuova
Alleanza. È il Padre che ci parla attraverso il Figlio e le Sue
parole sono luminose per chi è disposto a vedere. Matteo, alla fine
di questi insegnamenti e dopo il terzo conclusivo annuncio della
passione, chiude questa parte di vangelo con un episodio che
ribadisce chi siamo e cosa dobbiamo chiedere a Dio per accogliere la
sua parola.
Mentre uscivano da Gerico, una gran folla seguiva Gesù. Ed
ecco che due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava, si
misero a gridare: «Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide!».
La folla li sgridava perché tacessero; ma essi gridavano ancora più
forte: «Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Gesù,
fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che io vi faccia?». Gli
risposero: «Signore, che i nostri occhi si aprano!». Gesù si
commosse, toccò loro gli occhi e subito ricuperarono la vista e lo
seguirono.
Quei
ciechi siamo noi. La loro preghiera deve diventare la nostra se
vogliamo comprendere ciò che il Signore ci dice e soprattutto se
vorremo vivere e capire il grande mistero della Passione.
Per
continuare il cammino…
Stimoli
per la riflessione
Come
vivo la sofferenza?
Nella
vita di ogni uomo la sofferenza e la morte sono tappe obbligate,
proprio di fronte ad esse emerge la verità e la profondità della
fede.
Quanto
vale la mia fede, sottoposta alla prova della sofferenza? Provo solo
ribellione o sono capace di rivolgermi con fiducia a Dio?
Quanto
è presente Dio nella mia vita?
Pietro
voleva fare tre tende per conservare la presenza di Dio nella sua
vita. Quanto vivo “cuore a cuore” con Dio? Quanto è centrale o
marginale nella mia vita? Quali sono gli appuntamenti fissi che ho
con Lui nella mia giornata?
Prendo
sul serio la dirompente negatività del peccato?
Il
peccato è un ostacolo tremendo che ci impedisce di ricevere in
pienezza la vita divina. Tendo a sottovalutare la pericolosità di
vivere con leggerezza, senza lottare veramente contro il male in me?
In
questi giorni cerca di approfondire personalmente la riflessione e la
preghiera attraverso i brani biblici che seguono i temi del discorso
ecclesiastico in Matteo 18-20, cioè i fondamenti su cui deve
poggiare ogni comunità credente in Gesù.
Per
la prima settimana:
Mt
18, 1-14 i piccoli saranno i primi
È
un tema frequente nel nostro vangelo che puoi trovare in Mt 10,42.
11,26. 20,26-26. 25,40
Per
la seconda settimana:
Mt18,
15-18 la correzione fraterna
Sir.
11,7. 19,13-17. Mt 7,4. Eb 12,11. Gal 6,1. 2 Tm
2,25. 2 Ts 3,15. Gc 5, 19-20
Per
la terza settimana:
Mt
18, 21-35 il perdono
Sir 28,2. Mt 6,14. 2 Cor 2,10. Ef 4,32. Col 3, 13
Per
la quarta settimana:
Mt
19, 1-12 l’amore matrimoniale e l’amore verginale
Lv
18, 1-18. Tb 8, 5-8. Qo 9,9. Is 62, 1-5. Ml 2, 15-16. 1 Cor 7.
Ef 5. Col 3, 18-19. Sap 4,1-2. Ger 16,2.
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Primo incontro: Siamo venuti per adorarlo
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Secondo incontro: Le Beatitudini
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Terzo incontro: La Trasfigurazione
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Quarto incontro: Il monte degli Ulivi