Quarto incontro
In
vista della croce
Quarto
monte: il
monte degli ulivi
Cammino
spirituale per giovani
Il racconto della
Passione nel Vangelo di Matteo si apre con una lunga preparazione.
Gesù giunge a Gerusalemme, fa il suo ingresso solenne in città (Mt
21, 1-17), si scontra con le autorità religiose del popolo ebraico
(Mt 21, 18-23,36) e chiude mestamente il confronto con la
constatazione che Gerusalemme uccide i profeti e gli inviati di Dio
(Mt 23, 37-39).
Ormai è giunto il
giudizio di Gesù su Gerusalemme e sull’umanità intera. Prima che
gli uomini lo processino e lo condannino ingiustamente, Matteo fa
sedere Gesù solennemente sul Monte degli Ulivi, quasi in un
tribunale ideale da cui giudica Gerusalemme ed il mondo (Mt 24-25).
Non resta che dare inizio
alla Passione e Matteo narra gli ultimi preparativi, importanti per
comprendere il senso di quanto avverrà. Gesù annuncia l’inizio
del confronto finale (Mt 26, 1-.13) e contemporaneamente i suoi
nemici si preparano a catturarlo. (Mt 26, 14-15).
Gesù allora celebra
l’Ultima Cena con i suoi apostoli (Mt 26, 17-29): non è un
semplice addio ma un momento denso di significati simbolici, che
illumina tutta la passione.
A questo punto Gesù
entra risolutamente nella passione consegnandosi ai suoi nemici,
mentre i discepoli lo tradiscono e lo abbandonano (Mt 26, 30-56).
Questa lunga sezione del
Vangelo di Matteo è unificata da una immagine, o meglio un luogo: il
Monte degli Ulivi.
Si tratta di un’altura
che sta di fronte a Gerusalemme, quasi in contrasto con il Monte del
Tempio su cui è costruita la città. Matteo sottolinea così lo
scontro tra Gesù ed i suoi nemici, il primo grande tema di
questa sezione di Vangelo: lo scontro tra verità e falsità, fra
bene e male, fra luce e tenebre.
È infatti dal Monte
degli Ulivi (Mt 21, 1) che comincia l’ingresso messianico di Gesù
a Gerusalemme e l’annuncio
“Benedetto colui
che viene nel nome del Signore” (Mt 21, 9 e 23, 39)
Apre e chiude il
confronto tra Gesù e i suoi avversari.
Nuovamente il Monte degli
Ulivi (Mt 24,3) offre la cornice per il lungo discorso di Gesù sulla
venuta del Regno di Dio e sul giudizio finale.
È infine il Monte degli
Ulivi (Mt 26,30) il luogo dove la Passione avrà inizio, dove le
funeste previsioni di tradimento e di morte fatte da Gesù
cominceranno a compiersi.
Lì Gesù verrà
consegnato nelle mani degli uomini e comincerà quella salita verso
il monte del Tempio ed il calvario che segneranno le tappe basilari,
ma non definitive, della sua Passione, perché il terzo giorno
risusciterà. La riflessione su questo Vangelo che ruota intorno al
Monte degli Ulivi ci introduce quindi alla comprensione del senso
della Passione, e ci invita a guardarla non come un semplice
fatto del passato, ma come il centro della storia.
Nella passione il futuro
del mondo è stato segnato per sempre.
Leggeremo insieme questo
testo attenti ad una prima tematica che in qualche modo è nascosta
dietro le parole e le immagini: la vita è una scelta di campo, non è
possibile vivere eternamente neutrali, si tratta di decidere.Con
Dio o contro Dio?
Nella tua vita…
Come stare dalla parte di Dio, nelle grandi e piccole scelte della
vita?
Benedetto
colui che viene…
La grande sezione
dedicata agli ultimi scontri tra Gesù ed i Giudei viene aperta da
Matteo con l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme.
È apparentemente un
fatto secondario: gli amici di Gesù ed i ragazzini della città
festeggiano il suo arrivo, come si usava per l’arrivo di tutti i
pellegrinaggi pasquali.
Matteo però ci guida a
riconoscere la mano di Dio all’opera:
Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato
annunziato dal profeta (Zaccaria):
“Dite alla
figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un'asina,
con un puledro figlio di bestia da soma". (Mt 21, 4-5)
La
grande regia di Dio sta conducendo i passi di Gesù verso la croce e
la risurrezione, e sono i passi di un Re.
Nell’Oriente Antico il re
svolgeva due compiti fondamentali: era il giudice supremo e il capo
dell’esercito. Amministrava infatti la giustizia: chiunque se
aveva avuto un torto in tribunale poteva ricorrere a lui e il re
sentenziava distinguendo tra verità e falsità. Conduceva poi la
guerra contro i nemici, ponendosi a capo del suo popolo in
battaglia. Questo è quello che Gesù, da vero re, farà in questi
giorni a Gerusalemme. Infatti i temi unificanti di tutte le
controversie con i giudei sono riassumibili nelle domande: Qual è
la vera giustizia? E, qual’è la vera guerra che dobbiamo
combattere: quella militare contro i Romani o quella spirituale
contro il peccato?
Il
Re entra dunque nella sua città e si dirige risolutamente al
Tempio.
Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi
trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e
le sedie dei venditori di colombe e disse loro: «La Scrittura dice:
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una
spelonca di ladri». (Mt 21, 12-13)
Gesù
inizia la rivelazione della giustizia ed ella verità, il suo
compito regale, dalla cosa più importante: la “giusta”
relazione con Dio. Per noi, abituati a considerare sempre la
giustizia limitata a quella penale o alla giustizia sociale, questa
preoccupazione di Gesù nei confronti del Tempio e della preghiera
può apparire eccessiva. C'erano peccati più gravi da purificare e
condannare in Gerusalemme! Ma Gesù ricorda che non c'è vero
rispetto ed amore del prossimo se non fondato sul rispetto e
sull'amore per Dio.
Questo
è quello che Gesù è soprattutto venuto a ricordare a Gerusalemme,
come fecero gli antichi profeti: la signoria di Dio, l’importanza
primaria di vivere in comunione con Lui.
Nella tua vita…
Dio è veramente importante nella tua vita o è solo una
preoccupazione “tra le altre”?
Come
gli antichi profeti anche Gesù compie gesti simbolici che
rafforzano il suo annuncio, quali la strana maledizione del fico
incontrato sulla strada di Gerusalemme (Mt 21, 18-22).
È
uno dei rari casi nel Vangelo in cui Gesù mostra una reazione
sdegnata: Gesù si arrabbia con una città che strumentalizza la
preghiera facendone un affare economico, e con un fico che ha tante
foglie ma nessun frutto, un’immagine anche troppo trasparente del
popolo d’Israele.
Poco
più avanti si tornerà a parlare di frutti, in una parabola che è
la rivelazione lampante di come Gesù veda la sua missione. È un
racconto che parla di un padrone e di molti invii, un racconto che
culminerà con un giudizio finale.
Dio
viene in Gesù. Viene a giudicare e a salvare, a cercare frutti
e a chiedere il rendiconto, a noi accoglierlo con un "benedetto"
o con un rifiuto.
C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una
siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a
dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i
suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei
vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero,
l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei
primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò
loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma
quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede;
venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo
cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Quando dunque verrà il
padrone della vigna che farà a quei vignaioli?».
(Mt 21, 33-40)
La
parabola dei vignaioli omicidi è rivolta ai capi d’Israele per
profetizzare il loro comportamento nei confronti di Gesù. Essi in
definitiva, si comporteranno come si comportarono i loro padri nei
confronti dei profeti.
Molte delle terre coltivabili
della Palestina, al tempo di Gesù, erano proprietà dai padroni
stranieri, che se ne occupavano attraverso amministratori locali e,
periodicamente, li incaricavano di riscuotere l’affitto, che
spesso era in natura. Poteva accadere che gli affittuari non ne
volessero sapere di pagare questo affitto, magari anche per
sollecitazione di movimenti rivoluzionari, come quello degli zeloti.
C’è dunque un sottofondo economico e sociale che rende plausibile
il racconto di Gesù. Ma per comprendere la parabola è più
importante riconoscere il legame all’Antico Testamento. Il testo
allude chiaramente al famoso “Cantico della Vigna” di Is 5,1ss e
al suo messaggio: la storia di Israele è storia della fedeltà di
Dio e dell’infedeltà del popolo, che fa esperienza del castigo e
della dispersione proprio come conseguenza della sua infedeltà.
Nella parabola di Gesù c’è però una novità: l’invio del
Figlio. Inoltre non si tratta di un figlio qualsiasi: è il
figlio amato (v.6), è
l’erede
(v.7). La storia del peccato che sempre si ripete è dunque giunta
ad un punto di svolta insuperabile: chi potrebbe mandare Dio più
del proprio figlio? Il destino di Gesù dunque, secondo il messaggio
della parabola, si inserisce in una storia già iniziata da molto
tempo, la storia dei profeti e dei giusti della prima alleanza,
morti per la loro fedeltà a Dio.
A questa storia Gesù assegna il
compimento.
Il
racconto dell’innocente ucciso, del profeta rifiutato sembra
ripetersi all'infinito nella grande storia dell'umanità. È una
vicenda che sembra non andare da nessuna parte.
Ma
il sacrificio di Gesù, l’ultimo, portando a compimento questa
storia nella risurrezione, darà senso a tutto quanto avvenuto
prima. La storia dell’umanità, infatti, letta senza la fede,
appare come una somma di fallimenti, di “pietre scartate”, di
dolore innocente che non porta a nulla.
Ma
ora, nella luce della fede, l’innocente è il Figlio di Dio.
Ora entrando in questa lunga sequela di innocenti martirizzati e di
profeti uccisi il suo non sarà più un sacrificio inutile,
La
pietra scartata dai costruttori è divenuta pietra angolare…
La
Passione di Gesù da un nuovo senso a tutta la storia umana del
dolore innocente. Tutti quanti lo hanno preceduto non hanno
sofferto inutilmente.
La
storia non li ha sorpassati lasciandoli ad un lato della strada, ma
proprio loro hanno scritto la vera storia, quella del sangue
innocente che va da Abele a Giovanni Battista. Un sangue salito a
Dio come una preghiera, alla quale Lui ha risposto “mandando il
suo Figlio”.
Ogni
profeta ucciso ha dunque annunciato ed avvicinato il giorno della
salvezza portato dalla risurrezione di Cristo.
Ma
il mistero del dolore innocente va ancora più avanti.
Dopo
la venuta del Figlio, dopo la sua morte e risurrezione, c’è
ancora spazio per la lotta contro il male, c’è un “già e
non ancora” della salvezza definitiva.
È
il nostro tempo, nel quale siamo ancora chiamati a lottare contro
quello che Paolo definisce “il mistero dell’iniquità”. Anche
nel nostro tempo, ci sono e ci saranno profeti perseguitati ed
innocenti uccisi, ma neppure il loro sangue sarà inutile.
Dirà
infatti s. Paolo ai Colossesi:
Perciò
sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella
mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo
corpo che è la Chiesa. (Col 1, 24)
Il
sacrificio di Cristo non solo conclude una storia, dando senso al
sangue innocente del passato, ma si apre al futuro.
Nessuna
pietra sarà più scartata da Dio, nessun dolore sarà inutile,
perché ogni innocente che muore è Cristo che si immola per la vita
del mondo.
Come
non provare sgomento di fronte a queste parole? Ma Gesù non lascia
scampo alla fede. Chi non accoglie questo messaggio, chi vuole
edulcorare il Vangelo, cancellando la pagina della sofferenza e
della morte, la pagina del dolore innocente offerto per amore, sarà
schiacciato dal peso della verità.
Perciò
io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo
che lo farà fruttificare. Chi cadrà sopra questa pietra sarà
sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà». (Mt
21, 43-44)
Nella tua vita…
Il messaggio evangelico sul senso della sofferenza innocente
richiede una grande fede, che può nascere solo dall’umile
abbandono fiducioso in Dio. Solo questa è la via per trovare al
dolore risposte che evitino la banalità e l’offesa di chi soffre.
Guai
a voi…
Il
lungo discorso di Gesù sulla sua morte come sacrificio innocente
dell’ultimo e definitivo profeta, monopolizza l’attenzione di s.
Matteo. È infatti sempre sullo sfondo delle controversie seguenti
contro Scribi, Farisei e Sadducei. Sono scontri aspri nei quali Gesù
non risparmia più né le parole, né la chiarezza della condanna.
La conclusione degli scontri si ha con l’elenco dei sette “Guai”.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno
dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e
non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. (Mt 23,
13)
La struttura di queste invettive
sembra riprendere in negativo quella delle Beatitudini, quasi
fossero un elenco di maledizioni. In realtà però - non si tratta
di maledizioni; gli scribi e i farisei non sono maledetti - ma di
richiami vigorosi:”Guai a voi!”, da intendersi nel senso
profetico della lamentazione. Lo stile di questo brano di Matteo
ricorda i canti di lutto; infatti Gesù eleva un grido di tristezza,
al pensiero che i destinatari si trovano su una via che conduce alla
morte. È un appello a cambiare comportamento. Ma l'accumulo di 7
formule, un numero simbolico di conclusione, sottolinea che la
conclusione è ormai tragica, che Gesù non riesce a vedere uno
spiraglio di ravvedimento in loro.
Il
centro dell’accusa levata da Gesù è l’ipocrisia.
Essi
appaiono come dei santi e dei devoti a tutta prova, ma mancano di
sincero amore per Dio e per il prossimo.
«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?».
37 Gli rispose: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con
tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il più
grande e il primo dei comandamenti. 39 E il secondo è simile al
primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. (Mt 22, 36-39)
Questo
è il vero centro della legge, ed è solo questo che muove l’azione
di Gesù.
Egli
è il Figlio prediletto e amato, vive ed agisce solo per amore.
E
solo per amore del Padre e degli uomini, salirà sulla croce.
È questo amore che muove il suo cuore ad un lamento sincero per
Gerusalemme, città che si proclama "santa" e invece
"uccide i profeti"
Nella tua vita…
La durezza con cui Gesù condanna l’ipocrisia dovrebbe farci
riflettere. Non c’è per Lui nulla di peggiore di un amore che non
sa essere generoso e gratuito, ma viene usato per nascondere egoismo
e interesse.
Quando
il Figlio dell’uomo verrà…
Lo
sguardo di Gesù si volge ora al futuro.
Seduto
come un giudice sul Monte degli Ulivi viene invitato dai discepoli a
rivelare il quando e il come del compimento del giudizio.
Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si
avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Dicci quando accadranno
queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del
mondo». (Mt 24, 3)
Comincia con queste parole un
grande discorso che Matteo sviluppa nei capp. 24 e 25. Gesù parla
del suo ritorno alla fine dei tempi: la “venuta del Figlio
dell’uomo”, preceduta da una serie di eventi terrificanti che non
possono non sconcertare. Stentiamo a riconoscere il tono generale del
Vangelo che, per definizione, vuol essere una buona notizia. Il
riferimento agli oracoli profetici dell’Antico Testamento chiarisce
che le immagini vanno interpretate: i toni apocalittici servono solo
a sottolineare che non si tratterà di un momento qualsiasi della
storia dell’umanità, ma del momento chiave. Nel testo inoltre si
mescolano riferimenti alla distruzione di Gerusalemme da parte dei
Romani nel 70 d.C. con immagini prese dai profeti (Gioele 3-4, Amos
8-9, Sofonia 2-3). Si parla dunque di un fatto catastrofico storico,
che per i primi cristiani segnò la fine di un’epoca, usato come
segno e simbolo della fine della storia intera. L’aspetto
catastrofico, è dunque secondario.
È importante che il discorso venga ritmato da parole di speranza che
culminano nella certezza che il Signore verrà.
Nella
particolare prospettiva di questa sezione del Vangelo, l’accumulo
delle sciagure non serve per descrivere quanto in realtà accadrà,
ma per sottolineare che per quanto sembri sconcertante, per quanto la
storia del dolore innocente sperimentato nel corso dei secoli possa
far dubitare, la salvezza comunque giungerà.
Il
tema della fine del mondo diventa dunque tema dell’attesa della
salvezza, ed in particolare nelle tre parabole del cap. 25. Queste
parabole ci presentano l'atteggiamento giusto per vivere il nostro
tempo. Il tempo della Chiesa, vissuto nell'attesa della salvezza
Nella tua vita…
Non c’è nulla di meno cristiano dell’angoscia o del
catastrofismo. L’attesa del futuro è infatti per noi attesa della
salvezza che viene, da vivere con speranza e con impegno a meritarla.
È
il caso delle dieci vergini (Mt 25, 1-13).
Una
storia che non manca di una certa ironia, perché Gesù ci paragona
ad un chiassoso gruppo di giovinette che sta aspettando la venuta
dello sposo per fare festa. La loro immaturità è chiarissima
nell’alternare l’agitazione frenetica e il sonno. Il nostro
compito nell’attesa della venuta del regno di Dio è abbastanza
semplice: conservare accesa la lampada , una immagine nella
quale fin dai tempi dei Padri si è riconosciuto l'impegno a
conservare la fede in Dio.
Eppure
ci sono ben cinque vergini stolte che lasciano spegnere la loro
lampada.
Gesù
vuol metterci sull’avviso, perché non ci lasciamo scandalizzare se
la fede di molti entra in crisi, se il tempo della Chiesa è segnato
dal dubbio e dalla confusione. Anche questo è noto a Dio e non
interromperà il cammino della storia verso la salvezza. Un messaggio
non secondario della parabola è che comunque, per chi crede,
l’attesa del giudizio finale è un’attesa piena di serenità: si
sta aspettando la venuta dello sposo per iniziare una festa di nozze!
La parabola seguente, quella dei talenti (Mt 25, 14-30)
rafforza questo clima di serenità.
I
servi fedeli sono ora due a uno, e se il padrone appare esigente, è
però anche generoso nel ricompensare chi è sinceramente impegnato
Vieni servo buono e fedele,
Prendi parte alla gioia del tuo padrone…
La
nostra gioia, in attesa della definitiva salvezza, non è soltanto
storia di attesa, ma anche storia di impegno, di traffico, di
audacia nel far fruttare "i talenti" che Gesù ha
consegnato alla sua Chiesa.
La
terza parabola è insieme una parabola ed una profezia del
giudizio finale (Mt25, 31-46).
Gesù si presenta come un pastore
palestinese, che spesso aveva un gregge misto di pecore e capre. Per
tutto il giorno questo gregge pascola assieme senza distinzione, ma
alla fine della giornata, per evitare confusione durante la notte,
nello spazio ristretto dell’ovile, i due greggi vengono divisi in
due distinti recinti. Gesù sceglie l’immagine di questa divisione
anche perché appare con evidenza che non si tratta di una decisione
arbitraria, ma fondata su evidenti differenze. Il giudizio di Dio,
alla fine del mondo, non appare legato ad una volontà divina
dispotica, ma a fondati motivi e responsabilità certe da parte degli
uomini.
Questo
giudizio è allo stesso tempo perfettamente in linea con il messaggio
dell’Antico Testamento e del tutto nuovo. I profeti infatti
avevano annunciato più volte che il giudizio di Dio si sarebbe
basato più sull'amore concreto per il prossimo che su adempimenti
solo formali, su una fede fatta di fatti concreti e non solo di gesti
esteriori.
Ma
lo stupore dei “buoni” della parabola è perfettamente
giustificato: nessuno si sarebbe mai aspettato che servendo il
povero si servisse lo stesso Re divino.
La
Chiesa non è semplicemente chiamata a servire i poveri per obbedire
a Dio, ma deve riconoscere Dio stesso nel povero. È significativo
inoltre il parallelo che possiamo fare agevolmente tra questi poveri
e gli uomini delle beatitudini: anche qui abbiamo affamati,
assetati, afflitti e perseguitati.
Il
povero in tutte le forme è un vero e proprio sacramento della
presenza di Gesù in mezzo a noi. Il Signore si sta avviando alla sua
passione, tra poco lascerà i suoi, dopo aver vissuto al massimo
grado le beatitudini: sarà perseguitato, carcerato, ferito,
spogliato, ridotto a gridare la sua sete, ed infine ucciso. Ma dopo
la morte risusciterà e continuerà ad essere presente in quel tempo
intermedio, il nostro tempo, nel quale siamo chiamati ad attendere la
salvezza imparando a riconoscerlo ogni giorno. Non si tratta di
beneficenza o di vago umanitarismo; in questo Vangelo carità e fede
sono tanto inscindibilmete legate che la mancanza di Dio carità è
condannata come mancanza di fede: incapacità a riconoscere il
Signore.
Prima
del grande affresco della Passione, che costituisce in tutti i
Vangeli una grande sezione unitaria da valutare in sé, Matteo invita
la Chiesa ad un generale esame di coscienza e ci offre le coordinate
con cui leggere la Passione.
La
nostra fede verrà ora messa a dura prova perché dovremo riconoscere
in un perseguitato, carcerato, ferito, spogliato, assetato, ed
ingiustamente ucciso, il nostro Dio, il Signore della storia in cui
crediamo e che attendiamo come giudice del mondo.
Nella tua vita…
Le tre parabole del giudizio finale non guardano solo al futuro della
storia, ma ci presentano uno stile di vita cristiana operoso e
caritativo, fiducioso e carico di speranza e di fede, che ci impegna
già oggi.
Il
primo monte della passione…
Il
monte degli Ulivi, da cui Gesù ha pronunciato il suo discorso sul
giudizio universale, compare una terza ed ultima volta
nel suo Vangelo introducendo la passione, che è vista per l'ultima
volta come lo svolgersi di un unitario progetto di Dio. Un progetto
che va fino alla risurrezione ed alla missione della Chiesa.
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte
degli Ulivi. Allora Gesù disse loro:"voi tutti vi
scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti:
"Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge,
ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea". (Mt 26,
30-32)
In
questo modo Matteo mette in chiaro quanto aveva già lungamente detto
con gli annunci della passione: la croce non è un
incidente di percorso, è invece la meta del cammino di
Gesù narrato nel Vangelo. La croce è parte integrante del Vangelo,
del messaggio di salvezza che Gesù è venuto a portare. Per questo
il racconto della passione viene legato organicamente alla narrazione
precedente, soprattutto attraverso questa prima parte di racconto,
che è assieme già Passione ed ancora introduzione alla Passione
vera e propria.
Per comprendere il
racconto della passione fatto dai vangeli è necessario partire da
una domanda che sembra strana: Perché
gli evangelisti hanno raccontato la passione?
I primi cristiani infatti erano
coscienti che il fatto importante da tramandare ai posteri era la
Resurrezione di Gesù. Essi si sentono Testimoni della risurrezione e
sanno che Gesù ci ha salvati soprattutto vincendo la morte con la
sua Risurrezione. In base a questo avrebbero potuto considerare la
passione come un momento da dimenticare, un ultimo tentativo del male
di opporsi a Gesù, che fortunatamente non aveva avuto conseguenze
irrimediabili. In definitiva avrebbero potuto descrivere solo molto
sommariamente alcuni fatti e non, come è avvenuto, dedicare un ampio
spazio nei loro vangeli a questi due o tre giorni. Ma fare questo,
sarebbe stato “tradire” il vero Gesù.
È infatti Tutto Gesù che ci
ha salvati e non soltanto il Gesù glorioso del mattino di Pasqua.
Gli evangelisti vogliono sfuggire alla tentazione molto umana di
sorvolare sul dolore e sull’insuccesso per badare soltanto al
risultato finale, anche perché si fa sempre più chiaro, anche per
loro, che la gloria della risurrezione è stata costruita da Gesù
nel dono di sé della passione: la risurrezione non è un episodio,
ma costituisce un tutt’uno con la vita di Gesù, che ha nel suo
“modo di morire” il sigillo e il suo primo coronamento. La
passione è dunque un momento prezioso del messaggio di Gesù:
sottolinea l’accettazione
della realtà e non la fuga da essa,
il messaggio cristiano non è infatti una ricostruzione mitica che
consenta di dimenticare il reale.
In
questa terza parte dedicata da Matteo al Monte degli Ulivi, abbiamo
due fatti cruciali che introducono globalmente
la passione: l’ultima cena e la preghiera nell’orto del
Getsemani.
Sono
gli ultimi due aiuti che Matteo ci offre per comprendere e vivere la
croce e la risurrezione.
Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e,
pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli
dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese
il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene
tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per
molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò
più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò
nuovo con voi nel regno del Padre mio». (Mt 26, 26-29)
Gli
esegeti discutono lungamente sul momento in cui si svolge questa
ultima cena, perché la cronologia della passione mostra delle
differenze tra i vangeli sinottici e s. Giovanni. Quello che appare
certo è il desiderio di Matteo di vedere nell’ultima cena di Gesù
una cena pasquale secondo la tradizione di Israele.
Questo fatto è importante
perché la cena pasquale aveva una doppia funzione: era un momento
celebrativo della salvezza, ma era anche una catechesi sul senso
della storia.
Celebrando la cena pasquale e
ricordando i prodigi compiuti da Dio per il suo popolo, Israele
catechizzava le generazioni più giovani sulla guida provvidenziale
della storia da parte di Dio.
Nel
racconto dell’ultima cena non abbiamo alcun racconto legato agli
atti passati di Dio, ma due parole di Gesù che guardano al futuro.
Il
primo è la previsione del tradimento di Giuda.
Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno
di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente,
incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?».
Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto,
quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di
lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito;
sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». (Mt 26,
21-24)
Tutto
avverrà secondo quanto è scritto, perché nulla, nemmeno
il tradimento sfugge al piano divino di salvezza. Anche da
questo grande male Dio saprà trarre un bene, ma Matteo si preoccupa
di sottolineare che ciò non toglie nulla alla libera responsabilità
di Giuda.
In
questo modo il Vangelo di Matteo ci guida a leggere la passione come
“il compimento delle Scritture”, ma nel tempo stesso come il
compimento della volontà umana di male nei confronti di Gesù.
Gesù
come ogni innocente perseguitato della storia deve soffrire per la
responsabilità degli altri uomini, per la scelta di fratelli che
tradiscono liberamente e coscientemente la comune figliolanza divina.
Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e,
pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli
dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese
il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene
tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per
molti, in remissione dei peccati. (Mt 26, 26-28)
Il
secondo discorso di Gesù è legato alla istituzione
dell’Eucaristia.
Gesù
pronuncia la benedizione rituale sul pane, apparentemente ripetendo i
gesti antichi della celebrazione pasquale, ma ora tutto prende un
nuovo significato.
Le
sue parole ed i suoi gesti istituiranno il sacramento della Sua
presenza tra noi, una presenza che supererà la morte: la presenza
del Risorto in corpo e sangue.
Ma
le stesse parole e gli stessi gesti che istituiscono il sacramento
dell’Eucaristia, hanno anche immediatamente, una valenza
profetica. Quando sarà catturato e subirà la passione
Gesù ci apparirà come una vittima condotta al macello. Come
qualcuno portato a morte contro la sua volontà, o al massimo come
qualcuno che accetta con rassegnazione la sua sorte.
Nella
Cena invece, quando ancora è un uomo libero, Gesù prende
tra le mani il suo corpo ed il suo sangue" cioè la
sua vita, e li offre liberamente per la nostra salvezza.
Il
pane spezzato è segno chiaro della sua vita che verrà spezzata
sulla croce, ma è Gesù che la spezza offrendola ai discepoli.
Il
suo sangue versato, sarà versato dai suoi aguzzini che trafiggeranno
il suo costato, ma ora è Gesù stesso che lo versa “in remissione
dei peccati”.
Nell’Ultima
Cena Gesù anticipa dunque la sua morte di croce, dimostrando il
pieno possesso di quanto avviene, la sua piena regalità sul mondo,
anche in questo momento di apparente insuccesso.
Anticipa
la sua morte in un contesto di preghiera quale era la cena pasquale,
vivendola dunque come un sacrificio di comunione
con Dio e con gli uomini; è infatti a loro che offre il pane e il
vino.
Anticipa
infine la sua morte accogliendola “liberamente e per amore” in un
contesto di alleanza con i suoi discepoli, con la Chiesa;
come liberamente e per amore ci si sposa, si stipula l'alleanza
d'amore che lega per la vita.
Non
è dunque un caso che la patristica abbia letto alla luce del Vangelo
il sacrificio della croce come talamo nuziale, trono regale, ed
altare sacrificale dell’amore di Gesù per la sua Chiesa.
Ma
l’Ultima Cena offre anche un’ulteriore luce profetica sul
sacrificio della croce e sul suo significato.
Infatti
Gesù nella Cena offre agli apostoli il suo corpo e il suo sangue
come cibo, come nutrimento perché abbiano la
vita.
La
croce appare dunque come un momento generativo di vita, un sacrificio
che donerà forza vitale per quanti accetteranno di essere in
comunione con Gesù.
Alla
luce dei gesti e delle parole di Gesù nell’Ultima Cena, sullo
sfondo della croce sorge già l’alba della risurrezione e della
effusione di Spirito Santo di Pentecoste.
È
in questa luce di speranza ed insieme di oscuri presagi di morte che
Gesù si avvia verso il Monte degli Ulivi, verso l’Orto del
Getsemani per prepararsi all’ultimo confronto con i suoi nemici.
Sarà
una notte di prova e di scandalo, ma anche una
notte che prepara all’alba della risurrezione. Una notte da
affrontare con uno spirito di preghiera, come il cristiano dovrebbe
sempre affrontare la croce.
Sono
le ultime parole rivolte da Gesù ai discepoli, una raccomandazione
che Matteo rivolge ad ognuno di noi:
Vegliate
e pregate per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto ma la
carne è debole. (Mt 26, 41)
Per continuare il cammino
Stimoli
per una riflessione
La
nostra vita di fede quanto è libera dall’ipocrisia?
Il
giudizio di Gesù su Gerusalemme è soprattutto giudizio sulla
ipocrisia che può insinuarsi nella vita dei credenti. L’amore a
Dio e al prossimo che Gesù ci chiede non ammette finzioni.
L’innocente
è il Figlio di Dio; che senso ha il dolore innocente?
Il
vangelo non offre risposte facili per comprendere il significato del
dolore innocente, ma ci assicura che “è una pietruzza” per la
costruzione della salvezza, è partecipazione al sacrificio redentore
di Cristo. Non c’è vera fede se non ci confrontiamo con questa
risposta.
Quale
senso ha per noi credenti l’attesa della fine del mondo?
Spesso
si sente dire la data della fine del mondo da parte di qualche setta.
Per noi è un messaggio evangelico la fine del mondo, ma rischiamo di
lasciarci incastrare da una lettura catastrofista di questo evento.
La coscienza della fine del mondo non deve distoglierci dalla realtà,
ma spingerci a comprendere che proprio su quella saremo giudicati.
Alla
luce della Parola
In
questi giorni cerca di approfondire personalmente la riflessione e la
preghiera attraverso questi brani biblici.
Per
la prima settimana:
Nella
storia dell’umanità Dio agisce sempre come Provvidenza e come
Salvatore. È il messaggio del profeta Isaia: nell’annuncio
dell’Emmanuele Is 7, 14. nell’oracolo sulla pietra angolare Is
28, 16. nella simbologia del vasaio, Dio che plasma la storia Is 29,
16; 45, 9-12; Ger 18, 1-12; Rm 9, 20-21.
Per
la seconda settimana:
Dio
verrà a giudicare l’umanità alla fine dei tempi. È un giudizio
su cui vale la pena di riflettere. È Lui il vincitore finale della
Storia Ez 38-39; che conforterà con un banchetto di festa quanti gli
sono stati fedeli Is 24-27; che darà significato ed ordine
all’intera vicenda umana Ez 33, 10-20. allora tutti risorgeranno,
ma per un destino differente a seconda dei meriti Dn 12, 1-3; Sap 4,
20-5, 23.
Per
la terza settimana:
Il
messaggio cristiano della chiesa primitiva è punteggiato di
bellissimi annunci di speranza nella risurrezione finale e nella
venuta del Signore, leggine alcuni:
Atti
2, 26. 23, 6. 24, 15. 26,6; Rm 8, 22; 2 Cor 4, 14. 5, 1-6; Fil 3, 11;
Col 1, 5; 1 Ts 4, 13-18; 2 Tm 4, 8; Tt 2, 13; Eb 13, 14; 2 Pt 3, 13;
1 Gv 3, 2-3.
Per
la quarta settimana:
Gesù
viene con la croce e la risurrezione a portare a pienezza una lunga
storia di dolore innocente. Inizia con abele e cantata lungamente dai
Salmi: Sal 24, 4. 9, 29. 94, 21. 7, 4s. 26, 1s. 59, 5. 73, 13. 101,
2.
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Primo incontro: Siamo venuti per adorarlo
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Secondo incontro: Le Beatitudini
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Terzo incontro: La Trasfigurazione
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Quarto incontro: Il monte degli Ulivi
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Riflessioni a cura di Qumran.net