E’ un tranquillo pomeriggio del 1555 e tre bambini, Cesare, Antonio e Giovan Angelo giocano festosi sul sagrato della Chiesa. Di quei tre fanciulli uno di loro, Giovan Angelo, è sordo muto dalla nascita e non può unirsi alle grida gioiose degli altri. Deve accontentarsi di partecipare al gioco solamente con i gesti, e siccome è sordo, non sente nemmeno la campana della chiesa quando suona l’ora di tornare a casa. Sono i suoi compagni che devono avvisarlo che il tempo della ricreazione è finito.
Maria soffriva nel vedere quel fanciullo che giorno dopo giorno giocava nel cortile senza mai poter proferire una parola con i suoi compagni. Non poteva nemmeno recitare l’Ave Maria quando tutti gli altri si accingevano a farlo.
Così chiese al bambin Gesù di scendere in mezzo a loro: “Figliolo mio, và giù in mezzo a quei tuoi coetanei e fà oggi qualche cosa di bello che mi tolga questa pena dal cuore”.
Allora il Fanciullo divino si staccò dall’affresco e andò a mescolarsi con i tre bambini. Mentre questi si rincorrevano una straordinaria sorpresa li attendeva, Giovan Angelo cominciò a parlare e gridare festoso, non suoni inarticolati o versi gutturali, ma intere frasi che gli sgorgavano dalla bocca chiare e sicure.
I tre giovani dapprima non capirono quello che stava succedendo, ma d’un tratto Cesare fermò il gioco, afferrò Giovan Angelo e fece notare a tutti che egli era in grado di parlare. Giovan Angelo felice disse:”E’ vero, da quando questo bambino nuovo, nel rincorrermi, mi ha toccato la spalla”.
Cesare e Antonio si guardarono increduli e per poco furono loro a diventare muti per la sorpresa.
Ma ecco che il suono della campana li avvisò che era ora di tornare a casa e per la prima volta fu Giovan Angelo a gridare a tutti:”E’ ora di tornare!!”. Anche Maria al suono della campana scese sul sagrato, prese il piccolo Gesù per mano e disse:”Anche per noi è l’ora di tornare lassù nei nostri colori”. E insieme risalirono nella lunetta, si ricomposero sull’affresco di nuovo immobili e felici.