Se dovrai attraversare il deserto, non temere, Io sarò con te.
Se dovrai camminare nel fuoco, la sua fiamma non ti brucerà.
Seguirai la mia luce nella notte, sentirai la mia forza nel cammino,

io sono il tuo Dio, Signore.
Sono io che ti ho fatto e plasmato, ti ho chiamato per nome.
Io da sempre ti ho conosciuto e ti ho dato il mio amore.
Perché tu sei prezioso ai miei occhi, vali più del più grande dei tesori,

Io sarò con te dovunque andrai.

Una fede che cresce

Da quella morte è nata una vita.

Possiamo iniziare le nostre riflessioni con alcune domande che ci servano da guida: da quale fatto ha avuto origine la fede cristiana, quella che ci hanno tramandata i nostri nonni, i nostri genitori? qual è stata la scintilla che l’ha fatta nascere? La risposta non è misteriosa. Tutto è nato dalla morte di Gesù e dopo la morte di Gesù. Prima del 7 aprile del 30 d. C. non si può parlare di «fede in Cristo». «Il cristianesimo è l’unica religione al mondo che sia nata dalla morte di un uomo», così giustamente afferma lo storico marxista Milan Machovec.
 Si pensa forse che la fede giunga dai miracoli e di fronte ai miracoli. Qualcuno è proprio dell’idea che, di fronte a Lazzaro che esce dal sepolcro (cf. Giovanni 11), non rimanga altro che dire: «Signore io credo; tu mi hai costretto con l’evidenza dei fatti!». Marco (e gli altri evangelisti) la pensano in modo ben diverso! I loro «racconti» ci mostrano che Gesù non ha concluso nulla con i prodigi che ha compiuto; non è neanche riuscito a cambiare la mentalità dei dodici, dei discepoli. Nella migliore ipotesi, i miracoli (per es. quello della moltiplicazione dei pani) conducono al fanatismo (Gv 6,15). La fede nasce contemplando la croce e comprendendola alla luce della risurrezione. Il centurione romano (Mc 15,39) è l’espressione della comunità cristiana, persuasa dallo Spirito, dono di Gesù risuscitato. Di questo pagano il testo dice: «Vistolo spirare in quel modo disse: “veramente quest’uomo era figlio di Dio!”». Tanti hanno visto il crocefisso. Solo coloro a cui lo Spirito ha come «trafitto il cuore» (At 2,37) capiscono chi Egli sia. Per gli osservatori superficiali la morte di Gesù è fallimento totale, abbandono da parte degli amici, delle autorità e di Dio.

L’evangelista Marco che ha gli occhi nuovi illuminati dagli incontri con il Signore Risorto (Lc 24,31) contempla la morte di Gesù come: — manifestazione suprema del volto di Dio (il velo del tempio si scinde). Dio si fa incontro in Gesù ad ogni creatura, la raggiunge; — coerente compimento dell’esistenza terrestre del Cristo. Egli è vissuto da Figlio e da Figlio muore. Riconsegna al Padre il suo fiato. Si è talmente occupato della causa di Dio da non occuparsi più del suo futuro; — suprema solidarietà di Dio con gli uomini. Gesù si è fatto carico del grido (Mc 15,37) di ogni uomo, di quello di Abele, di quello di Giobbe e di ogni creatura che piange. Dio non ha salvato suo Figlio.

Lo ha donato a tutti noi; — sconfitta definitiva di Satana. Il demonio è il principe della morte; si trova di casa dove regnano le tenebre, dove l’innocente è ucciso, dove una speranza finisce. Gesù lo ha affrontato proprio su questo terreno. Ha vissuto la morte filialmente. Ha redenta, illuminata anche questa fase delicata ed estrema del nostro vivere. Morto pregando, professando che il Padre era suo Dio (Mc 15,34).
Incontri che trasformano. Quando e chi ha fatto brillare questa luce nuova nei discepoli? La risposta è nascosta in Mc 16 e negli ultimi capitoli degli altri vangeli (Mt 28; Lc 24; Gv 20-21). Ma già numerosi segnali sono lanciati da Mc 15,40-47. C’erano alcune donne che stavano ad osservare da lontano, fra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses e Salome (Mc 15,40). Sono mostrate come le vere discepole. Il loro passato non è necessariamente edificante: Maria di Magdala è colei da cui Gesù ha cacciato 7 demoni (Mc 16,9).

Hanno percorso l’iter giusto: hanno seguito il Signore sin dalla Galilea, lo hanno servito (15,11); sono salite con lui sino a Gerusalemme. Hanno profumato già il suo corpo per la sepoltura (Mc 14,3). Ora contemplano la croce (Mc 15,40) o il sepolcro (Mc 16,4; 15,47). Sono il gruppo dei deboli. Per loro quello è il punto più oscuro della situazione: sembra proprio che tutto sia finito. Dio darà loro l’appuntamento per farle divenire primo germoglio della chiesa dell’amore. Sopraggiunge la sera (Mc 15,42): è il momento della Pasqua ebraica; al calar del sole si uccide l’agnello. C’è aria di vigilia; c’è un’enorme aspettativa. Dopo la morte di Gesù, l’Eucaristia sarà celebrazione della pasqua vera e, per prendervi parte, bisognerà come Giuseppe d’Arimatea, venire a chiedere (alla chiesa) il corpo di Gesù (Mc 15,43). Per le varie autorità, sembra proprio che sul «caso Gesù» si possa mettere la parola «fine». Il Cristo che, per certificazione esplicita del centurione è già morto (vv. 43-45), viene avvolto in un lenzuolo; lo si mette dentro una tomba; vi si fa rotolare contro una gran pietra (v. 46). Trascorre il sabato (Mc 16,1): esso non sarà più il giorno del Signore. Dio, compiendo la resurrezione del Figlio Suo, supera ampiamente le meraviglie operate nel passato.

 Il calendario ebraico non basterà più. Il giorno della resurrezione sarà il primo dei giorni, quello che segna un’epoca nuova della storia (Mc 16,2). Marco ci presenta una scena in tre atti che ci dà poi la chiave per capire le esperienze fatte dai discepoli a partire dal primo giorno dopo la Pasqua ebraica. a)  Le donne vanno ad imbalsamare un morto; vogliono prolungare il ricordo di colui che era ed ora non è più. Per loro Gesù è definitivamente assente; b) il masso è ribaltato; vedono un giovane vestito d’una veste bianca; provano paura; ricevono un annuncio inaudito: «Il crocefisso è vivente!», sono mandate a dare la lieta notizia ai discepoli ed a Pietro; c) Le donne fuggono dal sepolcro; non dicono nulla a nessuno per paura. Questa scena in tre atti è la testimonianza più onesta di ciò che si è verificato all’interno del gruppo dei dodici e dei discepoli subito dopo la croce. L’aria che si respira è quella della mobilitazione generale: tutto è finito; tutto è sepolto, non resta che piangere e rimpiangere. Ognuno torna a casa sua; la compagnia si scioglie (cf. discepoli di Emmaus in Lc 24). Si verificano però una serie di esperienze (noi le chiamiamo apparizioni) vere, profonde ma non di carattere visivo e uditivo. Chi le vive, però non crede ancora che ciò che è impossibile agli uomini sia possibile a Dio (Lc 1,37). Prime protagoniste sono le donne. Dio vince gradualmente la loro paura, la loro reticenza. Lo Spirito scioglie loro la lingua: parlano (Lc 24,9); la loro testimonianza non è ritenuta né valida né sufficiente (Lc 24,22). L’unico fatto accertato, visibile e tangibile è il sepolcro vuoto. Le apparizioni si ripetono; le vivono Simon Pietro e Giovanni (Gv 20,1-9), gli undici del cenacolo (Gv 20; Lc 24), i discepoli sul monte (Mt 28,16). Intanto tutti scrutano le Scritture per rendersi conto di ciò che è avvenuto (che senso ha la croce?) e di ciò che sta avvenendo. La fede cresce man mano che ciascuno racconta agli altri ciò che ha sperimentato (Lc 24,33-35). Nascono queste certezze dopo la lunga catena dei dubbi e delle perplessità (Mc 16,8.11.14): — Dio Padre ha ribaltato la situazione di Gesù (cf. «la pietra è stata rotolata via» di Mc 16,4).

Egli è risultato vincitore sulla morte (cf. l’angelo che siede sulla tomba in Mt 28,2). Gli uomini hanno dichiarato Gesù colpevole; lo hanno crocifisso; Dio lo ha fatto risorgere da morte; lo ha dichiarato suo Messia, Suo Figlio; lo ha posto alla sua destra come Signore della storia (At 2,36). — Colui che, in modo nuovo (Mc 16,12; Le 24,16) si fa loro incontro è Gesù in persona. Non è un fantasma. E’ il Signore prima crocefisso. E’ colui che ora vive un tipo di esistenza assolutamente nuovo. Può farsi incontro a tutti; può raggiungere ogni creatura umana che cammina lungo la storia (Me 16,12; Le 24,16). Il suo corpo è glorificato. Non soffre più; la morte non ha più alcun dominio su di Lui. Raggiunge ora tutti gli uomini di tutti i tempi. — Il luogo ove lo si può incontrare è la comunità cristiana. Ove si radunano delle persone nel nome di Gesù, ove si proclamano le Scritture, ove si spezza il pane, il Cristo in persona viene; mostra le mani ed il costato; si siede per parlare e per donarsi come cibo (Gv 20; Le 24). La comunità dei traditori, dei discepoli smarriti è il posto fissato da lui per l’appuntamento (cf. «Andate dai discepoli: dite che vi precederà in Galilea; là lo vedrete!» Me 16,7). — Dalla morte e risurrezione di Gesù è nata la comunità dei credenti in Cristo, essa è la presenza visibile di Gesù per il mondo. Riceve il suo vangelo; lo annuncia, lo celebra, lo vive nell’amore. Porta la sua parola a tutti i popoli, li inserisce nel corpo del Signore risuscitato mediante il battesimo. Opera nel nome di Gesù (Mc 16,14-20).

Lo Spirito, vittoria di Gesù. L’evangelista Luca, prima di scrivere il capitolo 2 degli Atti degli apostoli, osserva — così noi immaginiamo — la cartina dell’impero romano del I secolo. Il suo sguardo va dalla Mesopotamia, alla Giudea, all’Asia Minore, alle isole dell’Egeo, all’Africa del nord, all’Italia. Vede tante comunità cristiane, tanti «focolai dell’evangelo». Quando scrive siamo già tra il 70-80 d.C. a distanza, quindi di 40-50 anni dalla morte di Gesù (7 aprile del 30 d.C.). Si pone allora queste domande: — chi è riuscito a persuadere un gruppo di Ebrei per i quali «colui che pende dal legno è maledetto da Dio» secondo il detto di Deuterenomio 21,23, che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio? — chi ha trasformato Simon Pietro da traditore (Me 15,71) in primo testimone della resurrezione di Gesù, al cospetto della Gerusalemme ufficiale (Atti 2.3.5)? — chi ha toccato il cuore di popoli così diversi tra loro per storia, cultura, tradizioni in modo da far sentire ad ognuno di loro il vangelo «nella loro lingua natia» (At 2,11)? La risposta è: è stato lo Spirito, primo dono del Signore risuscitato. Gesù lo ha donato ai suoi; lo ha profuso su tutti i popoli, ne ha rivelato la presenza e la potenza. Lo Spirito è dolce come il vento e forte come il tuono (At 2,2). Riesce a vincere perché persuade dolcemente. Egli tira fuori tuti dalla paura; fa uscire la comunità incontro al mondo. Ecco perché le apparizioni di Gesù risorto sono così decisive! Il Cristo ora è il «donatore dello Spirito». Agisce in noi mediante lo Spirito. Ciò che egli non era riuscito a fare in tre anni nei discepoli, riesce ora a compierlo da risuscitato nella sua nuova situazione di esistenza. Lo Spirito è la vittoria di Gesù. Non ha infatti un messaggio autonomo rispetto a lui: egli, ora spiega le parole di Gesù alla chiesa (Gv 14,26). Compie in noi le opere di Gesù, a favore dell’umanità. Questa persona, che da sempre esisteva accanto al Padre ed accanto al Verbo, è ora pienamente manifestata e donata da Gesù risorto (At 2,17). E’ lui che porta i discepoli a dire: Gesù, il crocifisso, è il Signore (lCor 12,5). Se uno crede è perché lo Spirito gli ha come trafitto il cuore e gli ha fatto capire la parola della comunità apostolica (At 2,37).

Dall’evangelo ai vangeli. Siamo ora in grado di raccontare la crescita della parola. I discepoli (persuasi dallo Spirito) vanno di casa in casa, di città in città proprio come gli araldi, gli impiegati statali dell’epoca. Portano l’evangelo cioè la lieta notizia. Non offrono semplicemente una informazione che arricchisce l’erudizione. Ciò che dicono cambia la vita. Portiamo alcuni esempi di «evangelo» secondo la cultura del tempo: — c’è una comunità tagliata fuori da tutti i collegamenti, l’araldo giunge; richiama l’attenzione di tutti e proclama: «è arrivata per noi al porto una nave carica di grano!»; — una città è assediata; è all’estremo delle forze; la sentinella avvisa tutti dicendo: «arrivano i nostri soccorritori!». Ecco due tipi di notizie che cambiano la vita. Ciò che Pietro e gli altri undici affermano è di livello e di importanza anche ben maggiore: «Dio ha fatto risorgere Gesù; ha adempiuto le promesse; in Lui ci viene donata la salvezza; in Lui possiamo rinascere (At 2); la nostra morte è stata definitivamente vinta (lCor 15)!

Quando i cristiani si riuniscono per proclamare le Scritture e spezzare il pane, qualche artista compone degli inni (Ef 1; Fil 2,6-11; lTim 3,16). Mette in evidenza la vittoria di Gesù sulla morte; canta il suo rapporto con il Padre e la sua vicinanza rispetto a noi. Al centro del culto sta la professione di Fede (lCor 15,3-5; At 2,32—3,15; Rom 10,9) Gesù, il crocifisso, è il Signore glorificato dal Padre. Nascono anche subito i 4 racconti della passione che formeranno il primo strato dei 4 vangeli. Mediante la persecuzione, Dio tira fuori da Gerusalemme i discepoli. Essi sono così costretti a fuggire in Giudea, in Samaria, in Asia minore. Per portare agli altri la rivelazione del mistero di Cristo, i cristiani creano dei piccoli strumenti: le raccolte dei detti, dei fatti, delle parabole di Gesù come pure dei libretti dei miracoli. Non esiste un ordine preciso. Queste antologie servono per rispondere ad alcune questioni vitali poste dai Giudei o dai pagani: che cosa ne pensa Gesù del sabato? come vede lui il rapporto con Cesare? Com’è da considerare l’Antico Testamento? Si formano comunità in Samaria, ad Antiochia, in Grecia, a Roma. Saulo di Tarso si converte (37 d.C.).

Egli si dedicherà in modo prevalente alla predicazione ai pagani. Per aiutare le chiese da lui suscitate si serve delle lettere (tra il 51 d.C. ed il 58 d.C.). Sono scritti occasionali, non sistematici. I destinatari sono molto vari (Tessalonicesi, Corinti, Galati, Romani, Efesini,…). Rispondono a questioni immediate: come sarà la nostra situazione dopo la morte (lCor 15)? E lecito ad un cristiano mangiare le carni immolate agli idoli (lCor 8, Rom 14)? Affrontano naturalmente anche interrogativi fondamentali: è l’uomo che si salva da sé o è la croce che lo salva? (Gal e Romani)? Rispetto a Dio, siamo come degli schiavi o siamo figli nel Figlio? Ogni questione è costantemente posta in relazione all’annuncio fondamentale «Cristo è morto, Cristo è risorto» (lCor 15,1-6). Quello è l’evangelo. Dentro quel nucleo c’è tutto ciò che il cristiano deve credere (lCor 10,9), deve celebrare (lCor 11,26) e vivere (Rom 6; Rom 14). Frattanto la vicenda di Gesù si fa più lontana nel tempo. Cominciano a morire coloro che «furono con lui sin dall’inizio (At 1,21). Nasce allora l’esigenza di fissare per iscritto la testimonianza apostolica. Non bastano più le raccolte, le antologie. Ci vogliono delle opere che contemplino globalmente la «storia di Gesù» (nascita-morte-resurrezione; detti-fatti-miracoli).

Le varie tradizioni orali vengono ordinate (Lc 1,1) secondo una visione teologica precisa. I cristiani, in questa occasione, inventano un genere letterario inedito, i vangeli. Esistevano le memorie ma esse erano narrazioni delle grandi imprese di personaggi ora defunti. I vangeli, al contrario, sono racconti delle gesta di Colui che oggi è il vivente. Contengono la testimonianza scritta dell’incontro indicibile tra il risorto e la comunità apostolica. Nessuno di loro riesce a dire tutto il mistero di Cristo; ogni opera ne sottolinea qualche dimensione. I vangeli non sono «biografia di Gesù» né testi «nati di getto»; sono riletture della storia di Gesù, capita alla luce della resurrezione. Marco scrive il suo testo tra il 65 ed il 70 d.C.; riferisce la predicazione di Pietro. Organizza la «lieta notizia di Gesù Figlio di Dio» (Me 1,1) come una narrazione progressiva in cui cresce la manifestazione del Signore soprattutto mediante i fatti. Suoi destinatari sono i cristiani di Roma. Matteo scrive verso l’80 probabilmente ad Antiochia; si rivolge a cristiani convertiti dal Giudaismo. Mostra in Gesù l’adempimento ed il superamento delle attese, delle profezie, delle promesse fatte da Dio nell’AT. Il suo vangelo è la narrazione della vicenda del Regno di Dio.

 Luca scrive verso l’85 per i cristiani venuti dal paganesimo. Rifà un quadro storico preciso degli avvenimenti, mostra la vicenda di Gesù come punta culminante del progetto di Dio o storia di salvezza. Seconda parte della sua «opera» sono gli Atti degli apostoli. Il vangelo è l’ascesa di Gesù verso Gerusalemme, sotto l’azione dello Spirito per l’annuncio della Parola; gli Atti narrano l’ascesa della comunità cristiana da Gerusalemme sino ai confini della terra sempre sotto il dinamismo dello Spirito e per la proclamazione della buona novella. Giovanni scrive verso gli anni 90; risponde a nuove esigenze. Sono nati dei gruppi che negano l’umanità autentica di Gesù: affermano che l’uomo sale verso Dio attraverso l’ascesi, la conoscenza filosofica. Egli mostra il «vero Dio fatto vero uomo». Organizza la sua opera sulle grandi feste ebraiche. In occasione di ognuna di esse, Gesù compie dei segni (cambia l’acqua in vino, moltiplica i pani…). Essi però rimangono incompleti, indecifrabili. Tutto diventa chiaro di fronte all’ora di Gesù, la croce. Tutto prende luce dal cuore di Cristo trafitto dalla lancia (Gv 19,34). In quel gesto Dio si dona e si svela compiutamente. Giovanni è anche l’autore dell’Apocalisse. Egli la scrive al tempo della persecuzione di Domiziano (95 d.C.) come «rivelazione di Dio» alle 7 chiese. Egli dà ai cristiani demoralizzati la «chiave di lettura» del tempo presente. Mostra come il mistero di Cristo sia oggi operante in loro. Entro il 100 d.C. abbiamo tutti gli scriffi del nuovo testamento.

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