Accanto al Cristo in croce erano rimasti in pochi, nonostante che il cielo si oscurava, dentro le mura della città continuava il mercato, come se quello che stava accadendo non potesse interessare quel popolo. Per loro era un’esecuzione normale; un malfattore stava per pagare per i suoi misfatti. Sul monte Tabor, improvvisamente, si fece un silenzio solenne, Gesù, levati gli occhi al cielo, fece sentire la Sua voce implorante. Parlava in ebraico, la lingua dei profeti e dei salmi e non era capito da tutti i presenti, ma tutti comprendevano che stava implorando Eloi. In quel tempo nessuno si permetteva di chiamare Dio con il proprio nome, ma chiamavano Dio Eloi, Jahvé, solo Gesù poteva chiamarlo con il suo vero nome. Si esprimeva con voce alta, più alta di quella che ci si aspetterebbe da un uomo vicino a morire.
“Era circa l’ora nona, Gesù gridò a voce alta: Eloi, Eloi, lamma sabactami?” che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Evidentemente una preghiera, qualcosa di più della semplice citazione di un salmo. Nella sua agonia Gesù aveva offerto ogni sorta di dolori senza lasciarsi sfuggire una sola parola di lamento. Giuda l’aveva tradito e Gesù lo chiamava “amico”. Gli misero le mani addosso, lo schiaffeggiarono, Pietro lo rinnegò e Gesù, in risposta, “lo fissò” e nulla più, Anna, Caifa, Pilato erano passati in ogni genere di contraddizione, ma Gesù non disse una parola, le uniche parole pronunciate da lui erano a tutela della verità.
I dolori fisici si erano accumulati su di lui, e se ne vedevano i segni in tutto il corpo. Ma l’uomo dei dolori, l’amico dei ciechi e degli sventurati, che aveva attirato a se i sofferenti per soccorrerli e consolarli, non disse una parola. C’era però uno strazio più nero di ogni dolore, uno strazio che ci sembrerebbe quasi impossibile se non ne avessimo avuto conferma nelle sue stesse parole. Parole che aveva cominciato a pronunciare nell’orto, dove aveva assunto la parte del peccatore.
San Paolo dice “Egli si era fatto il peccato vivente”, ma aveva sempre la possibilità di invocare il “Padre” in aiuto. Gesù fu costretto ad assaporare la privazione del Padre dal quale si sentiva abbandonato. Non disse: “Padre, se è possibile…”, ma invece, in un gemito, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Gesù si addossò tutti i dolori umani, bevve il calice di ogni miseria umana, volle conoscere la tribolazione che è “la notte oscura dell’anima”, notte che poche persone di preghiera possono sfuggire unendosi intimamente a Gesù. L’abbiamo ammirato più volte come uomo di preghiera, ora, nell’ultimo istante, si presenta a noi in completa desolazione.
Se c'è una realtà misteriosa nella nostra vita è il dolore. Vorremmo evitarlo ma, prima o poi, arriva sempre. Da un banale mal di testa, che sembra avvelenare le più semplici azioni quotidiane, al dispiacere per un figlio che prende una strada sbagliata; dal fallimento nel lavoro, all'incidente stradale che ci porta via un amico o un familiare; dall'umilazione per un esame non riuscito, all'angoscia per le guerre, il terrorismo, i disastri ambientali...Davanti al dolore ci sentiamo impotenti. Anche chi ci è accanto e ci vuol bene è incapace spesso di aiutarci a risolverlo; eppure a volte ci basta che qualcuno lo condivida con noi, magari in silenzio.
Questo ha fatto Gesù: è venuto vicino ad ogni uomo, ad ogni donna, fino a condividere tutto di noi. Più ancora: ha preso su di sé ogno nostro dolore e si fatto dolore con noi, fino a gridare:"Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?
Preghiamo
Padre, che dimostri la tua onnipotenza proprio nella croce del tuo Figlio. Lo hai donato a noi rendendolo solidale fino alla morte di croce. Aiutaci a riconoscere nella sua apparente sconfitta la piena vittoria della tua bontà, per poterti dire con fede le parole che ci confermano che tu sei Padre nostro che sei nei cieli...
La prima Parola
La seconda Parola
La terza Parola
La quarta Parola
La quinta Parola
La sesta e la settima Parola